giovedì 9 aprile 2015

Di pizzo non si parla mai abbastanza


BA 599 YI. Una targa qualsiasi. La targa di un auto abbastanza recente, una golf grigia, credo. Quelle nuove, che sono facili da guidare e te le compri pure di seconda mano ad un prezzo ragionevole. 
L’auto del mio assassino. 
Quattro lettere e tre numeri che mi hanno rovinato la vita. Hanno distrutto l’amore che mettevo nel mio lavoro, nella mia vita, rendendo gli ultimi giorni che mi rimanevano da vivere un vero inferno. Un’attesa interminabile che avrebbe portato quella macchina a posteggiare proprio nella stradina accanto il forno, ma prima passava davanti la vetrina, come avvertimento. 
Ogni sabato la stessa storia. 
Ogni settimana venivano ad avvertire, a prendersi il pane, i dolci, le pizzette per i figli, che andavano nella stessa scuola dei miei bambini. Spesso e volentieri pure senza pagare, perché comandano loro e quello che è mio è pure loro. 
Davanti agli altri clienti, che mi facevano cadere la faccia a terra. Poi alla fine del mese con l’attack nel catenaccio della saracinesca, con la chiave inglese in mano o con una pistola come minaccia che mi avrebbero tolto quello che mi rimaneva. Poi sempre più asfissianti, come se non fosse già abbastanza. 
Quello che guida la golf è sempre lo stesso, l’accompagnatore di solito cambia. A volte sono solo ragazzini, picciriddi. Possono avere l’età di mio figlio, sedici o diciassette anni. Questi a volte colpiscono più forte degli altri, perché si credono più forti, devono fare una buona impressione e lui li lascia fare. Poi devo spiegare ai clienti che mi sono fatto male mentre correvo,quando mia moglie non riesce a smettere di piangere. 
Un giorno mi fanno trovare la tanica di benzina sopra il bancone, dove c’era il registratore di cassa che adesso è in mille pezzi sulle mattonelle color sabbia, quelle belle che aveva scelto mio padre, quando lo gestiva lui il panificio. 
Un avvertimento. 
Se non paghi, puoi vendere cenere. Non pago. E allora la vetrina sfondata. Dopo che la riparo, l’insegna va “inspiegabilmente” a fuoco, a seguire pure la mia macchina.
Poi un bigliettino, scritto nelle carta di un foglio a quadrettini.
Stai sereno e pensa ai tuoi familiari.
Mia moglie si porta i bambini dalla madre, a Trapani. Ho paura che possa succedere qualcosa a loro. O forse ho troppa paura che possa succedere qualcosa a me e che loro possano vedermi. 


Gero, ma chi aspetti a denunciare? Ci stanno rovinando la vita!
Se denuncio mi lasciano ancora più solo e loro magari se la fidano pure ad ammazzarmi.
Perché, già non ti stanno facendo la fossa?



Mi hanno ridotto un verme. Sono in rosso da mesi. Ma loro ogni sabato continuano a tornare.
Guarda che lo sappiamo che i tuoi figli sono dalla nonna.
E’ la casa con la facciata azzurra,vero? Settimo piano? No no, aspetta … Il quinto piano! Al settimo ci sta tua cognata, no?



Poi la frattura del radio. Sono scivolato, sono costretto ad inventare al medico. Poi realizzo che purtroppo c’è solo una via per uscirne. E’ troppo tardi.
Mi ritrovano appeso al ventilatore, quello che d’estate era sempre acceso perché dal caldo si moriva. Mi ritrovano ancora con le lacrime agli occhi, il corpo caldo. Pure quel ventilatore l’aveva comprato mio padre, buon’anima.



Antonio Mineo