BA 599
YI. Una targa qualsiasi. La targa di un auto abbastanza recente, una golf
grigia, credo. Quelle nuove, che sono facili da guidare e te le compri pure di
seconda mano ad un prezzo ragionevole.
L’auto del mio assassino.
Quattro
lettere e tre numeri che mi hanno rovinato la vita. Hanno distrutto l’amore che
mettevo nel mio lavoro, nella mia vita, rendendo gli ultimi giorni che mi
rimanevano da vivere un vero inferno. Un’attesa interminabile che avrebbe
portato quella macchina a posteggiare proprio nella stradina accanto il forno,
ma prima passava davanti la vetrina, come avvertimento.
Ogni sabato la stessa
storia.
Ogni settimana venivano ad avvertire, a prendersi il pane, i dolci, le
pizzette per i figli, che andavano nella stessa scuola dei miei bambini. Spesso
e volentieri pure senza pagare, perché comandano loro e quello che è mio è pure
loro.
Davanti agli altri clienti, che mi facevano cadere la faccia a terra. Poi
alla fine del mese con l’attack nel catenaccio della saracinesca, con la chiave
inglese in mano o con una pistola come minaccia che mi avrebbero tolto quello
che mi rimaneva. Poi sempre più asfissianti, come se non fosse già abbastanza.
Quello che guida la golf è sempre lo stesso, l’accompagnatore di solito cambia.
A volte sono solo ragazzini, picciriddi. Possono avere l’età di mio figlio,
sedici o diciassette anni. Questi a volte colpiscono più forte degli altri,
perché si credono più forti, devono fare una buona impressione e lui li lascia
fare. Poi devo spiegare ai clienti che mi sono fatto male mentre correvo,quando
mia moglie non riesce a smettere di piangere.
Un giorno mi fanno trovare la
tanica di benzina sopra il bancone, dove c’era il registratore di cassa che
adesso è in mille pezzi sulle mattonelle color sabbia, quelle belle che aveva
scelto mio padre, quando lo gestiva lui il panificio.
Un avvertimento.
Se non
paghi, puoi vendere cenere. Non pago. E allora la vetrina sfondata. Dopo che la
riparo, l’insegna va “inspiegabilmente” a fuoco, a seguire pure la mia
macchina.
Poi un bigliettino, scritto nelle carta di un foglio a quadrettini.
Stai sereno e pensa ai tuoi familiari.
Mia moglie si porta i bambini dalla madre, a Trapani. Ho paura che possa
succedere qualcosa a loro. O forse ho troppa paura che possa succedere qualcosa
a me e che loro possano vedermi.
Gero, ma chi aspetti a denunciare? Ci stanno rovinando la vita!
Se denuncio mi lasciano ancora più solo e loro magari se la fidano pure ad
ammazzarmi.
Perché, già non ti stanno facendo la fossa?
Mi hanno ridotto un verme. Sono in rosso da mesi. Ma loro ogni sabato continuano
a tornare.
Guarda che lo sappiamo che i tuoi figli sono dalla nonna.
E’ la casa con la facciata azzurra,vero? Settimo piano? No no, aspetta … Il
quinto piano! Al settimo ci sta tua cognata, no?
Poi la frattura del radio. Sono scivolato, sono costretto ad inventare al
medico. Poi realizzo che purtroppo c’è solo una via per uscirne. E’ troppo
tardi.
Mi ritrovano appeso al ventilatore, quello che d’estate era sempre acceso
perché dal caldo si moriva. Mi ritrovano ancora con le lacrime agli occhi, il
corpo caldo. Pure quel ventilatore l’aveva comprato mio padre, buon’anima.
Antonio Mineo