Vergine, la prima volta in cui ci sto dentro - in un cerchio così,
tra tanti insegnanti. Sto nella mia Palermo, davanti allo splendido
Teatro Massimo, grandiosa unità di storia e arte. Secondo le regole
devo dire a tutti chi sono e che ci faccio qui (sembra facile rispondere). Dico loro in segreto che mi hanno invitata per fare
un laboratorio di disegno, che sono Nina e Apertura a Strappo. Spiego
chi siamo, due battute e quattro risate mi presentano.
mercoledì 29 giugno 2016
Di Schiena, di Anna Burgio - Recensione
Non è la prima volta che qualcuno scrive della relazione tra Amedeo Modigliani e colei che, in alcuni casi, è stata definita “la moglie”, senza mai esserlo in realtà; essendo lei, Jeanne Hèbuterne, una ragazzina di diciassette anni e la loro una relazione breve, di quattro anni. Questa dev’essere stata la considerazione di chi ha scritto le tante biografie su Modigliani, biografie che generalmente trattano la Hèbuterne come un personaggio di contorno, meno importante di altre figure, come, ad esempio, il mercante d’arte Zborowski e gli altri artisti che vivevano attorno a Modigliani e come lui a Parigi : Guillaume Apollinaire, Maurice Utrillo, Moise Kisling, Chaim Soutine e tanti altri - i così detti “artisti maledetti”; se non fosse che Jeanne si sia uccisa lasciandosi cadere giù da una finestra della casa dei suoi genitori due giorni dopo la morte di lui, che avesse già partorito una bambina, che non viveva più con loro, e che fosse incinta di nove mesi quando si suicidò.
“Di Schiena” è il titolo del libro dove Anna Burgio prova a ricostruire questa relazione; stavolta, però il tentativo viene fatto usando un punto di vista diverso; non quello dei tanti biografi dell’artista, ma di una scrittrice che partendo dai brevi e frammentari riferimenti prova ad entrare nel personaggio, nell'esperienza di Jeanne, a parlarne entrando dentro la sua testa. Non posso dire che ci sia riuscita del tutto; mi sarei aspettata una scrittura diversa nei paragrafi in cui compie questa operazione di introspezione, avrei preferito che fosse più suggestiva e meno esplicita su argomenti che in realtà può solo immaginare. Per il resto, invece, penso che abbia fatto molto bene il suo lavoro di ricerca e di ricostruzione, tirando fuori un saggio molto particolare: un misto di analisi e di notizie; offrendoci di Jeanne una figura a tutto tondo, ma anche informazioni e ambienti.
“Di Schiena” è il titolo del libro dove Anna Burgio prova a ricostruire questa relazione; stavolta, però il tentativo viene fatto usando un punto di vista diverso; non quello dei tanti biografi dell’artista, ma di una scrittrice che partendo dai brevi e frammentari riferimenti prova ad entrare nel personaggio, nell'esperienza di Jeanne, a parlarne entrando dentro la sua testa. Non posso dire che ci sia riuscita del tutto; mi sarei aspettata una scrittura diversa nei paragrafi in cui compie questa operazione di introspezione, avrei preferito che fosse più suggestiva e meno esplicita su argomenti che in realtà può solo immaginare. Per il resto, invece, penso che abbia fatto molto bene il suo lavoro di ricerca e di ricostruzione, tirando fuori un saggio molto particolare: un misto di analisi e di notizie; offrendoci di Jeanne una figura a tutto tondo, ma anche informazioni e ambienti.
La cosa che più mi è piaciuta di questo libro - la stessa che poi mi ha spinto a scrivere questa recensione - è una breve ma importante considerazione che fa l’autrice sul silenzio di Jeanne. Risulta un elemento significativo, questo silenzio, perché anomalo rispetto alla personalità di Jeanne, altrimenti volitiva, caparbia, colta e intraprendente, essa stessa un’artista, una pittrice. Il silenzio è lo stesso; è quello di tante donne, quelle che assumono un ruolo e lo portano avanti fino in fondo, senza recriminare.
Jeanne avrebbe - se avesse potuto - usato la sua arte per comunicare, quella che fu sicuramente una esperienza inenarrabile, per fissarla magari e nello stesso tempo per potersene liberare. Perché Jeanne non l’avesse fatto, resta una domanda sospesa che si lega al ricordo di una donna altrettanto caparbia e volitiva alla quale una volta ho sentito dire che “le cose peggiori sono quelle che non puoi raccontare, forse perché non le capisci, forse perché te ne vergogni” sono quelle le cose di cui si muore e di cui profondamente si vive, attorno a cui si costruiscono le esistenze, si formano caratteri e sensibilità, a volte perfino i lineamenti del viso, le fattezze dei corpi e la loro andatura, perché il silenzio agisce come uno scalpello.
Rosa La Camera
lunedì 27 giugno 2016
Occhi di cane azzurro - G.García Márquez, Recensione
Una
ventata leggera di piombo, un universo stravolto da elementi
letterari insoliti che un mondo fantastico salva; l'invenzione
letteraria riesce a soffiare un vento liberatorio e ci porta oltre il
testo, nel cosmo della fantasia. Non una parola di troppo nel testo,
acerbo, pieno di elementi arcani.
Undici racconti dove alla narrazione si mescolano simbologia e magia, realismo e mondo fiabesco, che supera tutto il resto, la fantasia come via d'uscita, valvola di sfiato, superamento dell'esistenza stessa dell'essere, elementi macabri, allegorie intrise di morte, sonno, sogni, sdoppiamenti, nevrosi e solitudine, che il Marquez porterà nei suoi Cent'anni di solitudine.
...Aveva
dedicato la sua vita a cercarmi nella realtà, mediante quella frase identificatrice: Occhi di cane azzurro. E per la strada la diceva ad
alta voce, il che era una maniera per dire all'unica persona che
avrebbe potuto intenderla: - Io sono colei che arriva ogni notte nei
tuoi sogni e ti dice: occhi di cane azzurro. In Eva sta dentro il suo
gatto, una bellezza crollata duole come un tumore, la trasformazione
e la difficoltà della rassegnazione di essere una bestia vinta che
miagola e sente il ripugnante desiderio di mangiare un topo.
Non si
può non pensare alla Pioggia nel Pineto mentre si legge il Monologo
di Isabel che guarda piovere sulla città di Macondo, ...senza che ce
ne accorgessimo, la pioggia stava penetrando troppo a fondo nei
nostri sensi. Nei racconti trovano spazio allucinazioni, angoscia,
nevrosi, follia, una morte dopo l'altra; alla fine il mondo nevrotico
muore e vince quello magicamente fantastico - nel sogno di essere.
Nina Tarantino
lunedì 20 giugno 2016
Gatti e incendi
Oggi Monte Pellegrino è immobile. Il castello Utveggio è nudo come un cadavere oltraggiato.
Mi domando quanti cani e gatti morti avranno trovato i vigili del fuoco lungo i sentieri.
Sì. Cani e gatti.
Avevo sentito questa storia alcuni anni fa, in occasione di un devastante incendio dello Zingaro: si attacca uno straccio bagnato di benzina alla coda dell'animale, gli si da fuoco e quello scappa terrorizzato per la sterpaglia, creando un fronte di fuoco enorme.
Sì. Cani e gatti.
Avevo sentito questa storia alcuni anni fa, in occasione di un devastante incendio dello Zingaro: si attacca uno straccio bagnato di benzina alla coda dell'animale, gli si da fuoco e quello scappa terrorizzato per la sterpaglia, creando un fronte di fuoco enorme.
Ora ho letto che non si tratta più di stracci. Gettano direttamente la benzina sul gatto, che è più veloce, e fa meno chiasso, e ci sta di più a morire.
Ora provate a immaginare. Il dolore, la puzza di bruciato, il pelo che si strina, la carne che arde, gli occhi che si accecano e tu, piccolo, che corri alla cieca fino a che non ti si brucia il cervello. Letteralmente.
Mi domando, e non è solo una domanda di pancia, questa, chi può fare una cosa del genere a cuor leggero. Davvero.
Bruciare un ettaro o dieci di bosco e farlo sacrificando una vita. Ce ne vuole di coraggio. O di crudeltà. No, bestialità no. Non offendo gli animali. Non le vittime di questi incendi: volpi, lepri, cinghiali morti soffocati, uccelli senza più nidi. Lucertole, serpi, scoiattoli. Tutti morti.
Bruciare un ettaro o dieci di bosco e farlo sacrificando una vita. Ce ne vuole di coraggio. O di crudeltà. No, bestialità no. Non offendo gli animali. Non le vittime di questi incendi: volpi, lepri, cinghiali morti soffocati, uccelli senza più nidi. Lucertole, serpi, scoiattoli. Tutti morti.
Ci vuole forza per tenere fermo un gatto o un cane mentre lo innaffi di benzina, torni a casa graffiato, magari puzzi di alcool o di benzina, hai dei segni sul corpo. I tuoi colleghi non lo notano? O lo vedono e stanno zitti, in pura logica mafiosa?
Tua moglie, i tuoi figli, tua madre non lo vede? Cosa fa, ti da una pacca sulla spalla e ti dice bravo, "Così imparano e danno a te il posto di lavoro?" E' questo che succede? Non ti schiaffeggiano come dovrebbero? Non provano vergogna ad averti come parente, uomo senza dignità?
Tua moglie, i tuoi figli, tua madre non lo vede? Cosa fa, ti da una pacca sulla spalla e ti dice bravo, "Così imparano e danno a te il posto di lavoro?" E' questo che succede? Non ti schiaffeggiano come dovrebbero? Non provano vergogna ad averti come parente, uomo senza dignità?
Voi che sapete, voi colleghi, familiari. Che cosa ne pensate, cosa gli dite? Un po' lo immagino. Per voi la vita di un cane, o l'importanza di un bosco è niente rispetto allo stipendio promesso dal portaborse di turno. Manco dall'assessore: dal tirapiedi.
A voi interessano i picciuli. Siete come quella persona che costruì i palazzoni che devastarono la Conca d'oro, che un giorno disse a me, con un sorriso contento "Qua era tutto un giardino, tutto arance. E ora qua, guardi che palazzi. Ci ho dato lavoro a tante persone, io." Certo. Lavoro.
E cemento.
A voi interessano i picciuli. Siete come quella persona che costruì i palazzoni che devastarono la Conca d'oro, che un giorno disse a me, con un sorriso contento "Qua era tutto un giardino, tutto arance. E ora qua, guardi che palazzi. Ci ho dato lavoro a tante persone, io." Certo. Lavoro.
E cemento.
E un genero portato al carcere di Opera, ma questa è un'altra storia che racconterò, prima o poi.
Ora parliamo di questo. Del fatto che bisogna dirlo a voce forte, che gli incendi non scoppiano a caso, che dietro c'era la volontà di devastare, fare pressione sulla Regione, che a questi vermi non gliene frega niente di distruggere la propria terra. Che è come se stessero prendendo a schiaffi la madre.
Ora parliamo di questo. Del fatto che bisogna dirlo a voce forte, che gli incendi non scoppiano a caso, che dietro c'era la volontà di devastare, fare pressione sulla Regione, che a questi vermi non gliene frega niente di distruggere la propria terra. Che è come se stessero prendendo a schiaffi la madre.
Vorrei capire.
Il piromane, quello con una patologia ben determinata, è una figura rara. Il piromane mafioso, no. Quello aspetta la giornata giusta, perché lo scirocco che c'è qui in Sicilia lo trovi solo in Africa. E poi "adduma". Dà fuoco. Dà fuoco perché così si assicura il rimboschimento per cinque anni, in attesa di un altro incendio, da fuoco perché così al comune xxx possono estendere le zone edificabili, possono ampliare le concessioni, da fuoco perché gli hanno detto di fare così.E poi guardo Monte Pellegrino. Non è solo un discorso di estetica, ma di sentire, vivere, vedere. La legalità passa anche dalla bellezza.
Non è puro, sterile quanto poetico senso estetico.
Stavolta le case sono partite dalle zone vicine ai centri abitati. Sulla montagna, l'ho visto io il fuoco che ballava da un angolo all'altro. e subito ho pensato. Gatti. Cani. E più pregavo, più il fuoco scendeva.
Non è puro, sterile quanto poetico senso estetico.
Stavolta le case sono partite dalle zone vicine ai centri abitati. Sulla montagna, l'ho visto io il fuoco che ballava da un angolo all'altro. e subito ho pensato. Gatti. Cani. E più pregavo, più il fuoco scendeva.
Penso alle ville ai margini di Palermo, ai giardini di delizia. Ai villini liberty, le cui pietre e i mosaici sono finiti in fondo al mare davanti al foro Italico, penso alle ville divise tra eredi che hanno sventrato i soffitti affrescati e si sono venduti i pavimenti di maiolica.
Noi la bellezza non ce la meritiamo.
Stefania Auci
venerdì 17 giugno 2016
La notte dei petali bianchi, di Gianfranco Di Fiore - recensione
Se una marina di libri, quest’anno, doveva stupirmi c’è riuscita anche con un libro, e la cosa non è così ovvia. A noi di Apertura a Strappo è andata meglio di quanto si potesse sperare. La replica de Il Gattopardo raccontato dalle cameriere ci ha reso felici come bambini.
Intanto che aspetto di esibirmi cerco tra i vari stand un'emozione cartacea da portare a casa. Ma ho la testa alla mia prima interpretazione di Agatina, la cameriera che ha qualche notizia in più sul plebiscito e non riesco a concentrarmi sulle copertine dei libri; eppure portarne almeno uno a casa è indispensabile. Ho appena finito l’ultimo ed è come rimanere senza caffè nel barattolo, senza pasta nella dispensa: Non si può!
Solo che scegliere tra qualche migliaio di libri mi sembra un’impresa teutonica. Rinuncio.
Un piccolo assembramento di amici davanti al nostro stand mi costringe a spostarmi un po’ e così getto l’occhio sopra un paio di copertine pubblicate dalla Laurana Editore, prendo un libro caso, poi un altro, leggo la frase riportata sul retro di un volumetto dal titolo La notte dei petali bianchi; descrive un paesaggio senza colori, un luogo senza identità. La stessa sensazione che da un po' di tempo cominciamo a provare, forse, un po' tutti. Giorno dopo giorno assistiamo allo sfumare dei nostri confini, ci sfiora la paura di andare dispersi. Decido di prenderlo. Il ragazzo cui pago l'acquisto mi offre la sua dedica, sorrido, mi fa piacere, solo che ancora non comprendo del tutto. Insomma non era facile in quella masnada di libri e di stand con un libro scelto a caso beccare l’autore, non vi pare? Avrei potuto chiedergli tantissime cose per poi stilare questa recensione, avrei potuto fare un’intervista vera e propria, ma io sono troppo eccitata per la mia esibizione e non mi impegno ad ascoltare e quindi a capire. Dopo essermi allontanata focalizzo: la dedica non la fa l’impiegato della casa editrice! Guardo mio marito che conferma la mia stupidata, torno indietro per recuperare, ma l’autore è già andato via.
Dovrò accontentarmi solo del suo libro.
Leggo le prima cinquanta pagine la sera stessa. La nostra esibizione è andata alla grande e non ho una briciola di sonno. Sono felice come una bambina al suo primo gioco di società.
Il libro mi agguanta subito e leggere le pagine, una dietro l’altra, mi mette sulla corda delle emozioni. Da tempo non leggevo un libro capace di trascinarmi non tanto dentro la storia, quanto dentro il personaggio principale, passo dall’altro lato della barricata ed è proprio una guerra silente quella che comincio a vivere. Di tanto in tanto, nei giorni a seguire, dovrò pure richiudere il libro incapace di proseguire. Mi servirà riprendere fiato, prendere le distanze dal mondo nauseante della pedofilia. Mi manda in crisi comprendere che sentirne parlare sia un conto, "viverlo" seppure attraverso un libro, sia un'altra.
Non ci sono colori per chi subisce abusi, e Gianfranco Di Fiore racconta una storia senza strappare lacrime e pietismi, piuttosto mostrandoti lo squilibrio e l'effetto domino che renderà il bambino un'altra persona (se ancora persona).
Mentre scrivo non ho ancora finito di leggerlo e questo credo che sia indicativo, scrivo sull'onda emotiva suscitata dall'ennesima pagina. Non importa come finirà la storia, spero nel lieto fine, sì, voglio ancora sperare, ma so già che non è questo ciò che potrebbe cambiare le cose, il mondo andrà avanti ancora così, perché non c'è umanità, non c'è razza, non c'è cultura e nemmeno religione capace di restarne fuori né di combatterla abbastanza né punirla sufficientemente.
Grazie Gianfranco, dovrei dirti che leggerti è stato un dolore inaspettato, ma credo che confrontarsi con questa realtà con un libro ben scritto, così come lo è il tuo, sia utile, significativo. Per me è valso molto di più che mille comizi e dissertazioni sul tema.
Spero che la tua opera d'esordio finisca sotto riflettori importanti, veda la luce che merita, smuova quel senso di umanità che troppo spesso mettiamo a tacere solo perché così è il mondo, esattamente come ho scritto qualche riga più su.
Adelaide Jole Pellitteri
lunedì 13 giugno 2016
Terrore e omofobia a Orlando. A che serve ora la solidarietà degli sciacalli necrofagi?
Torni a casa felice, vorresti condividere con gli amici le bellissime emozioni delle giornate di cultura a "Una Marina di libri", il piacere e l’amore per la cultura in ogni sua forma ed espressione, il bisogno di libertà. Ma basta un attimo soltanto affinché il sangue ti si raggeli nelle vene, affinché il respiro si sospenda, mentre un pugno ti colpisce allo stomaco e gli occhi si gonfiano di lacrime.
All’inizio non capisci quell’hashtag su Twitter: #Orlando. Pensi all’ennesima bega di politica interna, forse a un’uscita del sindaco di Palermo, a una dichiarazione del ministro della giustizia. Invece no. Cominci a leggere i giornali, guardi i reportage giornalistici e ti rendi conto di una cruda realtà: si è appena consumata una delle stragi più violente del nostro tempo.
Un 29enne americano di origini afgane entra armato fino ai denti in un locale frequentato prevalentemente da persone appartenenti alla comunità LGBT, spara all’impazzata, uccide 50 persone e ne ferisce altrettante. E i quotidiani riportano gli ultimi SMS di un giovane alla madre prima che il terrorista metta fine ai suoi sogni, alla sua esistenza. Vedi la gente che si accalca per chiedere informazioni circa i familiari e gli amici, senti le urla di disperazione, osservi attonito la gente inerme e ferita. Dopo qualche ora, l’Isis rivendica l’attentato, alla matrice omofobica si unisce anche quella del radicalismo religioso.
Puntuali arrivano gli sciacalli del web, che fino a ieri inneggiavano alla rivoluzione contro la comunità LGBT, che invitavano a imbracciare i fucili per contrastare l’approvazione di leggi a favore delle persone omosessuali. Queste stesse persone esprimono adesso una solidarietà pelosa e interessata, falsa, ipocrita, volta a ottenere solo qualche click in più, perché per loro la dignità umana si misura in “mi piace” e retweet e magari pure qualche voto alle elezioni, giusto per raggiungere un misero 0,6%, facendo leva su paure create ad hoc.
Io ho paura dei terroristi islamici e dei terroristi in genere. Ma ho anche timore di coloro che fanno sciacallaggio su una tragedia simile. Farebbero stuprare le loro madri per un minuto di vanità social.
Perfino il Papa si scomoda, condanna l’attentato, l’uso delle armi, manifesta il proprio cordoglio, dimenticandosi però di citare l’identità LGBT di quelle persone, sottolineando, invece, la “normalità” della vita di quelle persone. E non puoi fare a meno di ricordare subito la battuta che Ozpetek fa dire al personaggio della nonna nel film “Mine vaganti”: «Normalità, che brutta parola!».
Se ignorate l'identità LGBT delle vittime della strage di Orlando, li uccidete due volte, li massacrate di nuovo, li sacrificate nuovamente sull’altare dell’omofobia più abietta.
Ma non è finita. Scorrendo i social trovi altre vili e meschine strumentalizzazioni di politici e di simpatizzanti di certi partiti, che proclamano una guerra santa all’Islam, ciarlano di “nazionalità musulmana” e di altri concetti aberranti che esistono solo nella loro mente insana, nelle realtà distorta che si sono costruiti nella loro testa. Le loro elucubrazioni mentali puzzano di necrofagia, sulla pelle di quei cadaveri che sono ancora caldi loro giocano una partita politica, pensano a ottenere qualche voto in più creando l’ennesimo nemico da combattere.
La strage immane prima e gli sciacalli dopo non ti lasciano indifferente. Così le emozioni turbinano dentro. La commozione si unisce alla rabbia, all’umiliazione si accompagna la disperazione. Piangi, ti domandi perché. Ma, dopo lo smarrimento iniziale, bisogna calibrare le parole, misurare le emozioni.
Non dobbiamo permettere a qualsiasi forma di terrorismo di paralizzare la voglia di esistere, di affermare in ogni luogo e in ogni modo ciò che si è, il desiderio di essere liberi in mezzo a persone libere e felici di vivere come meglio credono.
Non è vero che non ci sia una matrice omofobica di stampo religioso, non è stato un obbiettivo casuale il Pulse. Scientemente è stata colpita la comunità LGBT, chi lo nega è intellettualmente disonesto.
Ma le parole, la solidarietà di certi personaggi infami, le frasi di circostanza non ci servono. Occorre agire, abbiamo bisogno di fatti.
Adinolfi e i suoi sodali smettano di istigare all'odio omofobico e di genere, se vogliono fare un favore ai loro figli e alla società tutta, se davvero vogliono essere solidali alle persone LGBT, smettano questa abominevole e continua campagna di denigrazione, di omofobia. I crimini d’odio sono una delle violenze più aberranti, dovrebbero capirlo una volta per tutte.
Come ha ricordato lo storico attivista LGBT Vanni Piccolo ieri a Roma, nel presidio per commemorare i morti della strage di Orlando, questa è una questione sociale che riguarda tutte le persone a prescindere, senza distinzioni di genere, orientamento sessuale, religione, etnia, cultura, etc. In Italia forse non c’è la cultura delle armi facili, ma i terroristi che armano i violenti omofobi li abbiamo anche qui. Professano forse una religione diversa, ma sono ugualmente pericolosi.
Al terrorismo e all'omofobia non possiamo rispondere con l'odio.
Non dobbiamo.
Tutta la comunità LGBT è ferita, ma restiamo umani!
A chi vuole terrorizzarci, a chi pretende di annullare i diritti umani, a chi ci vorrebbe normalizzati o peggio sottomessi rispondiamo uniti, lottando affinché tutti siano liberi di essere ciò che si sentono e/o vogliono essere.
Per questo occorre partecipare alle manifestazioni specialmente in questo mese dedicato alle ricorrenze del Pride, perché laddove viene umiliata la dignità di una persona si vilipende l’umanità intera.
Le lacrime di oggi non devono appannare i nostri occhi, perché bisogna vedere chiaro per lottare e guardare al futuro di eguaglianza e libertà per tutti.
Salvatore Castrianni (@idrossido)
Taggami su!
Elettra, Siracusa 2016. Certo l'emozione vissuta sui libri di metrica
greca è un'altra storia, ma dentro al teatro greco mi è tornata
nostalgia e mi sento la pelle accartocciata, pure le piante dei piedi
bruciano di passione, certo da Siracusa a Ortigia una bella
passeggiata! Giro la testa a 360 gradi per far sì che il mio
neurotrasmettitore confermi al mio cervello che sto proprio qui! La
bocca si apre, esco i denti a sorridere.
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mercoledì 8 giugno 2016
AAS a Una marina di libri 2016
Venghino, signori, venghino!
Apertura a strappo, blog letterario fondato sulla condivisione della lettura e della scrittura, è lieta di invitarvi all’Orto botanico di Palermo, nello spazio oltre le ninfee, dal 9 al 12 giugno. Avremo lì uno stand per pubblicizzare i nostri libri, interamente prodotti artigianalmente da noi, che spaziano dai racconti umoristici a quelli impegnati sulla mafia, dalle poesie alla riscrittura del “Gattopardo”. Quest’ultimo progetto sarà presentato venerdì 10 giugno alle ore 22:00 cui seguirà una tavola rotonda in cui gli autori presenteranno le loro ultime fatiche. Accorrete, quindi, numerosi.
Isabella Raccuglia
domenica 5 giugno 2016
Orgoglio di appartenenza
Quest’anno per iniziativa della biblioteca comunale di Termini Imerese, diretta dalla dott.ssa Claudia Raimondo, si è svolto un progetto di lettura che ha visto coinvolti gli alunni del liceo scientifico, classico e Stenio di Termini Imerese e il liceo delle scienze umane di Caccamo. Il progetto, la cui referente per il liceo scientifico è stata la prof.ssa Arrigo Lina, si è articolato in cinque incontri, in ognuno dei quali gli alunni partecipanti dovevano leggere un libro per ogni incontro, seguendo il tema dell’assurdo attraverso la chiave dell’ironia. Al termine dell’incontro due mie alunne della classe IV C del liceo scientifico, Angileri Pagoria Rosalba e Bologna Sara, si sono proposte per partecipare alla trasmissione “Pane quotidiano” in onda su Rai tre alle ore 12:45. L’incontro si svolgerà in data 12/10/2016 e prevede la lettura preventiva di un libro, dal quale le alunne dovranno estrapolare delle domande da porre in diretta all’autore.
”Assumiti questo traguardo/conquistato per tuo merito e con l’alloro di Delfi,/o Melpomene, cingi (scl. a tutti noi) la chioma”.
Isabella Raccuglia
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