Fumogeni
rossi e giochi d’artificio per Gianmarco. Mille le persone che
hanno manifestato ieri pomeriggio affichè lo studente universitario
venga liberato. Il corteo è partito da Piazza Bologni per poi
terminare al cavalcavia che affaccia sul carcere Pagliarelli. Appena
arrivati, il buio si è fatto avanti, i clacson suonano senza tregua:
Viale Regione è paralizzata. Da cosa? Da giovani, meno giovani,
belli, meno belli, alti, meno alti. Passo dopo passo, marciapiede
dopo marciapiede, il fiato s’è fatto corto. Nessuno ha abbandonato
il corteo, nessuno. Non si avvertivano lamenti per la stanchezza né
per la sete. Dritti, spediti, forse logorati per la soppressione
silenziosa di un libero pensiero. Alcuni, per dire che c’erano,
hanno sbattuto con forza mattoni e mani sulle ringhiere di ferro. La
voce adesso è terminata, i ragazzi, a decine, litigano con il guard
rail perché non possono prendersela con nessun altro. La polizia, in
lontananza, sta buona e aspetta che il corteo termini nel più breve
tempo possibile (oggi hanno camminato veramente tanto). Alcuni ometti
in giacca e cravatta afferrano la ricetrasmittente e gesticolano. La
polizia, per questa volta, rimane in lontananza. Nell’ombra, è
chiaro.
Gianmarco
è mio amico. La lotta di ieri è stata la dimostrazione che
l’umanità ci unisce. Ogni giorno, quando apro gli occhi, giro la
testa e osservo i libri, i vestiti sparpagliati per la poca volontà
di ordinare il disordine. Aspetto quindici secondi prima di mettere
un piede fuori dal letto, poi raggiungo la posizione eretta. Afferro
un mottino dallo stipo, lo scarto e lo ficco in bocca. Spio dalla
finestra, il cane sta bene. Ogni giorno, quando apro gli occhi, penso
che un mio coetaneo non può assaporare ciò che io assaporo. Si
volta e vede una parete bianca, si alza e vede un’altra parete
bianca. Aspetta quindici secondi prima di mettere un piede fuori dal
materasso, poi raggiunge la posizione eretta. Non ci sono cani né
finestre. Solo le sbarre, che prima o poi, si sa, si scioglieranno.
Emanuele
Scaduto