martedì 6 ottobre 2015

Romanzo Civile, di Giuliana Saladino

E’ una finestra aperta, l’immagine di copertina dell’edizione Sellerio di Romanzo Civile, di Giuliana Saladino. L’autrice apre una finestra su un periodo storico che suscita in coloro, che, come me, non appartengono a quella generazione, una strana nostalgia per le cose che avresti voluto vivere, per gli incontri mancati, (perché non decidiamo né dove né quando). Siamo come Ziggy Stardust, alieni sulla terra. E’ la mia una generazione carente di ideali che ha ricevuto gli avanzi o meglio gli scarti di una società avariata. Cosa avevano loro? Il meglio che si potesse trarre da una amicizia, da un paese gattopardianamente destinato a essere travolto da una spirale di violenza; una classe politica e intellettuale con un tessuto vivo e irripetibile. 
E’ attraverso il racconto della malattia di un amico, il Rocchi, che si suggella la
certezza che un periodo storico è finito, una malattia affrontata con incredibile lucidità emotiva, lo spunto come dice Marcello Sorgi, nella prefazione, per mettere nero su bianco la testimonianza di una amicizia globale, del confronto delle idee, della necessità vitale del dialogo, del litigio, dell’odio e dell’amore.
Sullo sfondo una città, irredimibile: Palermo, che s’agita, uccide, rantola. Quella “Terra di rapina” che non lascia testimoni, che ingoia le sue vittime, che rade al suolo sentimenti e uomini, che rimane uguale a se stessa in una folle corrida dove si inventano nomi nuovi per strade vecchie (non si ricostruisce, si celebra sulla morte), fa più scena.
La vedi Giuliana Saladino, mentre fuma, piange, mentre cerca di fissare nella memoria la voce di chi per lei e gli altri amici rappresenta il suo universo, il pezzo di cornicione che si sgretola, uomini che come i palazzi subiscono l’onta del tempo senza perdere il senso del decoro, i ragionamenti, il senso di vuoto e ineluttabilità, la perdita di un pezzo di umanità che segna la fine di un sistema. 
La sensazione del lettore è che la storia non debba avere un epilogo (tragico) ma una speranza. Non è così, e accade attraverso un percorso che ha dell’incredibile nelle sue iperboliche verità e sfacciate nudità. Il male non puoi nasconderlo, torna a spellarti vivo, ti sopraffà, ma sei tu che tiri la corda e metti fine al gioco, senza lasciarti abbindolare da illusioni. “Un laico muore solo. E per sempre. Non ha messe gregoriane né rintocchi di campane. Capisco perciò la bellezza e l’agiatezza di chi muore dentro un coro d’angeli”, questo scriveva il Rocchi a un amico prete qualche mese prima della morte.
E’ mutato il mondo o il modo di osservarlo? E’ certo che al mondo mancherà lo sguardo lucido di Giuliana Saladino, vuoto il tempo, vuoti gli spazi; la memoria li riempie e li onora.

Adele Musso