Un
garofano all’occhiello a dispetto del grigio, della polvere e del
pallore della morte. E’ necessario sopravvivere al desiderio di
lasciarsi morire, di essere risucchiati nei fossi che tracimano di
corpi, di piangere come se fosse la propria ogni madre uccisa lungo
strade polverose, o i propri figli e fratelli quelli ammassati come
bestiame di ultima scelta in treni scalcinati e fetidi. Ripeto il mio
nome, mi ripeto vivi e non dimenticare nessuno dei nomi e a quelli
che non sai, dai il tuo. Basterà scrivere: Un popolo sulla lapide, e
non sarebbe ancora sufficiente per fare l’appello dei morti.
Porto
la mia macchina fotografica ed è faticoso, non è una digitale,
siamo solo all’inizio del secolo, ed io sono un uomo armato di
buona volontà e qualcuno dirà di coraggio. Sono un uomo, giusto?
Saranno altri a sancirlo non sono niente, adesso invece. Sono una
mosca sul culo di non so quale Dio. So che per voi è difficile
pensare a un signore vecchio stampo che si esprima così. Un
prussiano purosangue che si reca a implorare la salvezza per un
popolo che non è il proprio, (nessuno può pensare che un popolo gli
appartenga e farne ciò che vuole) che pensa di poter dialogare con
il Presidente degli Stati Uniti e con quel folle di Hitler, il primo
m’ignorerà il secondo cercherà di uccidermi. Percorrere la strada
dell’esilio e accettare che nessuna terra ci appartiene davvero,
apparteniamo all’idea di giustizia, agli ultimi e al dolore degli
innocenti. La verità è negli occhi sbarrati che non hanno capito,
nelle donne in ginocchio che implorano per i propri figli, ma la
pietà è un sentimento strano, legato a logiche spesso
incomprensibili.
Nel
2015 ricorre il centenario del genocidio del popolo armeno. Durante
la prima guerra mondiale tra il 1915 ed il 1916 il governo turco
condusse una campagna di eliminazione
sistematica della minoranza armena,
iniziata dal sultano Abdul Hamid II tra il 1895 ed il 1897. Le
ragioni? Le solite: religiose e politiche vennero massacrati circa
duecentomila armeni in quello che è stato definito il primo
genocidio, su precisa volontà dell’Impero Ottomano. Le
organizzazioni indipendentiste armene risposero con atti
terroristici, peggiorando ulteriormente la propria posizione. Con il
mutamento al vertice di Istanbul, quando presero il potere i "giovani
turchi", sembrò che il periodo dei pogrom
fosse finito per gli Armeni, ma con la prima guerra mondiale la
situazione cambiò bruscamente, e i pogrom
si trasformarono da fenomeno locale e sporadico in un organizzato e
sistematico massacro. Tra il 1915 e il 1916 vengono infatti uccise
circa due milioni e mezzo di persone. Si cominciò con l’eliminazione
degli intellettuali, giornalisti , scrittori, coloro che
rappresentavano la minaccia maggiore, la cultura ha sempre fatto
paura. Poi si uccisero indiscriminatamente i civili, le lunghe marce
furono i podromi, del massacro del popolo ebraico avenuto di lì a
qualche anno. Armin T. Wegner documenta a rischio della vita,
fotografa le lunghe colonne umane di armeni che vanno verso la morte.
Cosa
fa il governo turco? La storiografia ufficiale turca cerca di
inserire questi massacri all’interno della Prima guerra mondiale,
negando un piano specifico di sterminio dell’intera popolazione
armena. Nel 2015 a cento cento anni dal genocidio
armeno,
bisogna ricordare il monito nelle parole di Elie
Wiesel
– “l'ultimo atto di un genocidio è la sua negazione, la
demonizzazione dell'altro, l'antisemitismo e l'armenofobia
galoppante, alimentata negli ultimi anni sia dall'Azerbaijan che
dalla Turchia, è il segnale che un nuovo genocidio potrebbe ancora
compiersi, perché laddove non esiste "memoria", il Grande
male può nuovamente affilare i suoi artigli.”
Eppure
la Turchia vuol far parte dell’unione europea, e se qualcuno
azzarda e dice: ma è un popolo per cultura religione e tradizioni,
lontano dalla matrice europea, si corre il rischio di essere tacciati
di razzismo, intolleranza, incapacità di accettazione di culture
diverse. In realtà noi rispettiamo le diverse identità, e gli
altri?
Una
corrente di grande ipocrisia attraversa l’Europa, la Germania si
oppone all’ingresso della Turchia, ma le motivazioni non sono certo
etiche, infatti il capo della diplomazia tedesca in occasione del
centenario del genocidio armeno ha dichiarato alla stampa che non
esiste certezza storica del genocidio armeno e che la questione va
risolta tra Turchia e Armenia.
Armin
T. Wegner tedesco di Germania, documentò la marcia verso la morte
degli armeni, ma non fece soltanto questo denunciò e non venne
ascoltato.
Accadono
fatti strani in Turchia, dove Erdogan, il terzo dei gemelli non tanto
diversi, (Silvio e Putin) mascherando attraverso il populismo un
regime autoritario riesce a mantenere il potere. Nel 2005 Orahn Pamuk
nobel, per la letteratura, subisce un processo per aver parlato di
genocidio armeno e curdo, La legge turca infatti proibisce di
definire tali avvenimenti un "genocidio" (art. 301 del
codice penale, "vilipendio dell'identità nazionale"). Il
processo è iniziato il 16 dicembre 2005 ma è stato in seguito
sospeso in attesa dell'approvazione del ministro della giustizia
turco. Una significativa parte dell'opinione pubblica turca si è
schierata apertamente contro lo scrittore: qualcuno ha anche ordinato
la distruzione dei suoi romanzi nelle librerie. Le accuse sono state
ritirate nel 2006 con la motivazione che il fatto non costituisce
reato per il nuovo codice penale. Nel 2007 per la stessa ragione è
ucciso il giornalista Hrant Dink turco di origini armene, a lui
Ferzan Ozpetek regista turco, dedica il film Saturno Contro.
Hasan
Cemal, pubblica un libro “1915, il Genocidio Armeno”, non subisce
processo, non viene ucciso, perde però il suo posto di lavoro. Passi
avanti? Piccoli, altri passi indietro.
E
le donne? Cosa è accaduto e accade tuttora? Pare che ad Istambul
siano state uccise anziane donne di origine armena, donne
ultraottantenni, a chi fanno paura? Al leader, che pensa che
limitando il sorriso delle donne con una legge, potrà metterle a
tacere?
Antonia
Arslan scrittrice e saggista nata a Padova, di origine armena, nel
2004 scrive il romanzo La masseria delle Allodole dove ripercorre la
storia del la sua famiglia, sullo sfondo il genocidio e il ruolo
delle donne armene, che per quei tempi e rispetto ad altre culture
erano fortemente alfabetizzate e hanno così contribuito a salvare
non solo i figli ma anche i libri e a trasmettere la loro storia;
poiché valevano meno degli uomini e si credeva di poterle piegare e
usare, alcune furono risparmiate, costrette a convertirsi obbligate a
matrimoni. I bambini di età inferiore ai dodici anni non vennero
uccisi, divennero schiavi di turchi, altri invece accolti come figli,
ribattezzati con nomi arabi. I bambini dimenticarono, le donne no.
Gli scampati alla strage simularono una conversione all'islam
continuando in segreto a custodire la propria fede cristiana. Dopo il
terribile terremoto del 2011, scavando tra le macerie della provincia
turca di Van affiorarono non soltanto oggetti di culto cristiano, ma
sotto le case di musulmani d'origine armena furono scoperte delle
cappelle.
Dice
l'Arslan: “in ogni uomo c'è il massimo del bene e del male. Passo
dopo passo si arriva a questi inferni, con una cecità volontaria,
che si accomoda alla follia di un governo.” - Prego si accomodi
mister Erdogan...
Adele
Musso