Sono nato in circostanze strane, sopra un lapino, mentre mio padre si
dirigeva verso l’ospedale e mia madre stava sdraiata tra ferrivecchi e robaccia
da rivendere al mercato delle pulci, cose che mio padre aveva pigghiato tra
cassonetti ed angoli di strada.
Era il suo lavoro, l’omo del “ferro
vecchio”.
Il lapino arrancava rumorosamente
sulla strada, tra vicoli e auto, e di tanto in tanto cadevano oggetti che mia
madre spingeva con i piedi. Era in preda alle doglie, stava appoggiata ad un
minifrigo arrugginito e le mani salde alla sponda del lapino e ad una sedia
sdraia. All’improvviso mia madre urlò di fermare il lapino perché doveva farmi
nascere.
Immediatamente!
Eravamo quasi all’ospedale, mancava solo di svoltare un paio di
stradine e sarebbe comparso. Le urla fecero venire intorno tanta gente dalle
case, dalle botteghe, scesero dalle auto, vennero tutti intorno al lapino. Mia
madre urlava. Mio padre gridava per calmare mia madre. La gente parlava tra
loro e proponeva cosa fare. Tutti divennero dottori e ostetrici e disquisivano
sulle procedure da applicare.
Ruppe gli indugi, prontamente, ‘a za
Ciccina.
”Iu appi unnici
figghi, pigghiatila e puttatila dda dintra”.
“Dda dintra” era la taverna di
Michelancilu faccia ri bruoru.
Sorprendente, quegli energumeni e
lavoratori unti presero con delicatezza la puerpera, la adagiarono sul tavolone
odorante di vino e birra e in silenzio si allontanarono accudendo con lo
sguardo mia madre sul tavolo. A za Ciccina disse “tu tu e Sarina trasiti e tu, picciriddu, tu chiui a puorta!”
Mio padre fu buttato fuori da un
imponente urlo ra za Ciccina.
“Tu,
maccarruni… puru fuora!”
(continua)
Luca Russo