domenica 31 maggio 2015

Letti per tutti: Il cuscino della suocera

 Sandro Camilleri
IL CUSCINO DELLA SUOCERA

pagine 247, brossura succulenta
Stordito editore, 2015.




L’ultima fatica di Sandro Camilleri (cugino minore di Andrea, dedito alla scrittura di libri gialli noir di discreto successo tra i suoi lettori, n.d.a.) ci porta a vagare per la città insieme all’ispettore Montalcino alla ricerca di un panificio ancora aperto. 
Sono le otto di sera e il motivo di questo vagare disperato sono i carciofini sott’olio, Montalcino li ha presi nella pizzicheria sotto casa, ma ha dimenticato di comprare anche il pane. L’ora è tarda, i negozi del centro sono tutti chiusi. Camilleri (però Sandro) non immagina come questo possa essere successo, visto che lui è l’autore, quindi responsabile del sostentamento dei personaggi, vitto e alloggio, decide gli orari i fatti omicidi suicidi domande risposte, tutto.

Comunque, l’ispettore Montalcino si ritrova senza pane con questo vasetto di carciofini in una borsina della pizzicheria, di quelle biodegradabili che fanno un odore tremendo, ha la nausea, lancia due tre smadonnamenti in direzione nord-nordovest, che lì pensa ci sia la scrivania di Camilleri (sempre Sandro, impegnato a cercare una soluzione per risolvere l’impasse).

giovedì 28 maggio 2015

Il calcio spiegato agli arbitri

Eh sì che te l’hanno detto in tanti che ti facevano strani segnali, alcuni alzavano il braccio, e facevano sporgere due dita, ma non che le altre gliele avessero tagliate, no mani belle e compatte, cinque dita che all’occorrenza potevano trasformarsi in cinque dita di violenza, e il pollice, quello a discrezione personale o in bella vista o a tenere le altre piegate! 
C’erano tipi che si allenavano tutta la stagione per tirare fuori quella sincronia necessaria affinché epiteto e gesto si accompagnassero simultaneamente a vicenda; più allenati dei calciatori stessi curavano la dizione, il tono con scrupolo – la cadenza è importante -, uno non può mica regolarsi solo con il gesto, certo se c’è confusione la mano si vede subito, è evidente e i simboli sono importanti, linguaggio universale, ma vuoi mettere la soddisfazione di urlarlo a pieni polmoni? Alcuni, i veterani, organizzavano corsi per i più giovani, addirittura i cori, sì, come quelli degli alpini, varie tonalità per una sola parola. Un crescendo da curva a curva e in questo l’affiatamento univa anche le fazioni contrapposte.
In uno stadio cari signori su un argomento soltanto, si è tutti concordi.
Ed è inutile che il signore in casacca nera finga indifferenza.

La domenica nelle famiglie palermitane è un fuggi fuggi generale, di mattina presto, ma che dico? dalla sera prima! Tutti pronti: nonno, figlio e nipote, tutti rigorosamente maschi, che lo stadio non è roba da femmine, le femmine a casa a preparare, che quando si torna il pititto è orbo che in curva sud ti danno ghiaccioli se sei fortunato, e bottiglie d’acqua piene in testa se esulti nel momento sbagliato. Partenza, bandiere, cappellini, sciarpe, e megafoni sotto il sedile, che all’uscita dobbiamo essere pronti a qualsiasi evenienza; ci si apposta ai cancelli chiusi, tutti in fila per i controlli, neanche dovessimo prendere un volo internazionale e non si capisce mai come caspita facciano a entrare bombe carta, manganelli e a volte anche dei motori senza ruote (uno disse una volta che seduto là stava più comodo).
Il calcio è una religione per il palermitano, e l’arbitro è il “capro” espiatorio. L’epiteto varia da quartiere a quartiere, la provenienza geolocalizzata incide notevolmente e all’ascolto è possibile comprendere  a quale insediamento (arabo, normanno o altro) si possa far riferimento. Prendiamo come esempio i residenti della Kalsa, (pronuncia: Ausa, con una acca un poco aspirata alla fiorentina), ebbene, là all’epiteto si aggiunge anche la frase …e tutta a to rezza, sì, signori, non razza, avete inteso bene. Palermo si sa, è frutto di miscellanee etniche, ma qualcuno potrebbe obiettare che il risultato non cambia. Da noi la dizione è tutto, ti identifica e ti colloca. E allora il nostro arbitro potrà distinguere provenienza e classe sociale, e andrà a casa con più soddisfazione e con una maggiore conoscenza delle lingue.
Il tifoso andrà a casa e per un giorno avrà messo nel dimenticatoio tutti i suoi problemi, risolta la partita e dato all’arbitro quel che è dell’arbitro, la patria è salva.

Adele Musso

La città della gioia - Recensione di Serena Giattina

Ma che gioia!?! Generalmente non infierisco contro i libri, nemmeno contro quelli che non mi entusiasmano particolarmente, perché rispetto gli scrittori e cerco di immedesimarmi nello sforzo che compiono per comunicare qualcosa attraverso la loro opera. Ebbene, con Lapierre non ce la faccio. Se lo avessi davanti, gli chiederei: Lapierre, anzi Dominique, perché?
Con tutta la buona volontà, non riesco a trovare niente, ma proprio niente, di salvabile in questa sua fatica. Sì, fatica. Per lo scrittore, che ha partorito il libro in questione a seguito di anni trascorsi in India, e per il lettore che deve fare i conti con un resoconto più noioso di un documentario muto. Almeno, però, in un documentario c’è il gusto di vedere immagini più o meno accurate, nel caso del lavoro di Lapierre, non solo lo scenario che ci si presenta alla vista non riesce a far entrare chi legge nei luoghi descritti, ma ha l’aggravante di un atteggiamento missionario davvero irritante nel suo moralismo.
I poveri indiani, pur non avendo niente, ma proprio niente, riescono a vivere, ad amare e perfino a gioire mentre tu, abbietto uomo occidentale, devi vergognarti del tuo materialismo che t’impedisce di apprezzare i veri valori. In linea di massima il messaggio è questo.

In cosa consiste la trama? Le vicende parallele di due protagonisti, Paul Lambert, un prete francese che si trasferisce a Calcutta per elevarsi spiritualmente stando a contatto con i miseri abitanti di una bidonville (nel libro, tanto per confondere le menti che hanno minor dimestichezza con la terminologia indiana, si chiama slum) e cercando, comunque, di ricambiare gli insegnamenti morali dei poveri, compito che non gli richiede chissà che impegno, perché coloro che si rivelano essere suoi maestri, salvo nei casi medici, rifiutano l’assistenzialismo e vogliono evolversi da sé – come dimostra una giovane coppia che, con grande sacrificio, riesce ad accumulare il necessario per lasciare Calcutta e tornare a vivere nelle campagne bengalesi per condurre una vita contadina, socialmente più dignitosa -. L’altro protagonista è Hasari Pal, un contadino che si trasferisce con la famiglia a Calcutta in seguito alla catastrofe economica che si abbatte nella sua vita per via della prolungata siccità che ha rovinato i suoi campi. Solo sul finire del libro Hasari e Paul s’incontreranno – il contadino che per un periodo ha vissuto sul marciapiede, poi grazie al lavoro di uomo-risciò può permettersi una baracca in una bidonville, questa a sua volta verrà distrutta perché sorgeva sulla futura linea ferroviaria e allora, grazie a un amico, Hasari trova alloggio in una baracca alla Città della Gioia, ovvero la bidonville in cui abita il prete -. Il loro incontro non aggiunge niente di nuovo al racconto. In realtà, la figura stessa di Hasari è superflua: se l’intento dell’autore era quello di offrire due punti di vista diversi – quello occidentale e quello locale – non è andato a buon fine. Il giudizio dello scrittore si sente in entrambe le voci; inoltre ha dato vita a talmente tanti personaggi che raccontano il loro vissuto, non dissimile da quello di Hasari, che il contadino è solo uno in più (e più prolisso). Si giunge faticosamente all'ultima pagina, non perché la narrazione non sia scorrevole, ma perché oltre alla fotografia della miseria non c’è proprio niente, al punto da chiedersi, chiudendo il libro: e allora? Con la sgradevole sensazione di essere stati raggirati nel riguardare lo stemmino Best Seller in copertina.

Serena Giattina

martedì 26 maggio 2015

“L’ultimo lento e poi andiamo via”, destinazione: la vita!

Romanzo primo di Gianni ZichichiL’ultimo lento e poi andiamo via”, edito da Wordmage Edizioni per il sociale, è un viaggio alla volta dei mitici anni ’80, dal sapore nostalgico anche se vivo più che mai, un viaggio alla portata di tutti, sia di chi questi anni li ha vissuti da adolescente, sia per chi era già più “adulto”, sia per chi non era ancora nato, e riesce a comprenderli e ad assaporarli.
Un viaggio che inizia con una prefazione scritta da un personaggio noto ed amato a Palermo, e non solo, il mitico Valentino Picone, che questi anni li ha vissuti insieme all’autore, essendo compagni di scuola, e che ci parla di “risate pulite” e di un racconto che ognuno, a modo suo, riesce a far proprio.

lunedì 25 maggio 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: Coiffeur pour homme

Bisbigliano troppo queste due strafalarie, pensa la donna in bianco con i fiori sulla testa e l'espressione da allocco - i piedi alle dieci e dieci, che sia una ballerina di danza classica? sì, è Carla Fracci.
Si capisce cosa le stanno sussurrando alle orecchie le due amiche, non approvano, sparlano Mariella e hanno ragione: il figlio voleva farsi fare uno shampoo e magari una accorciata di capelli dal barbiere a domicilio e lei, Mariella - che alle pulizie ci tiene e non sopporta pila e capiddi sul lavandino -, lo buttò fuori di casa: vatinni a u ciumi.
E lui che ha fatto? esattamente quanto le disse la madre.
L'acqua buona è?
Non ti preoccupare, cavura è.
Il barbiere versa l'acqua, il figlio prega che non sia troppa fredda.
Certo, se si mettessero in casa, in dieci minuti si sbrigherebbero, dice quella con la camicia rossa, qui - all'aperto - ci vorranno due ore e al picciotto gli verrà una primunia, se continua a farsi fare lo shampoo al cielo sereno, questo a quarant'anni non ci arriva. 
Il figlio a Giovanni sempre glielo dice, ma quando te la fai una bella sala toeletta con gli specchi, le poltrone comode, il salottino d'attesa con il tavolino dove trovi i giornali con le femmine spogliate, il PlayJew, nell'ultimo numero c'è Maria Maddalena senza tunica e senza veli!

Io mai mi farei lavare i capelli al ciume, dice l'altra, io me ne vado da ArteMadonna stilisti del capello, mi metto comoda, mi fanno gli impacchi per le doppie punte e i colpi di sole con dieci talenti, e mentre mi massaggiano mi raccontano i fatti di mezza Nazareth, tutte cose sanno, il marito di Maria l'hanno sempre in punta alla lingua.
Guarda, c'è una colomba? 
Gli sarà scappata a Moira Orfei.
(Andrà tutto bene, al ragazzo faranno quella bella pettinatura con la riga in mezzo e i boccoli ai lati, si portano così per ora - sempre che quel piccione in agguato non gli lanci una scagazzata e allora, ahimè, a Giovanni toccherà rifargli lo shampoo. E piuttosto che stiano attente quelle tre bizzoccole, con il piccione in giro rischiano di rimanere incinte.)

Giorgio D'Amato


venerdì 22 maggio 2015

AAS al Liceo Classico "Scaduto" - Uomini soli, di Attilio Bolzoni

23 maggio 2015, ore 11.30
Ricordare la morte di Giovanni Falcone, con un film di Attilio Bolzoni.


AAS ci sarà, per parlare del passato e proporre agli studenti sguardi per comprendere il presente.
A margine l'anticipazione di "Cuore Nero", racconto di Gaia Lo Bosco, Maria Citrano, Ivana Castronovo, Giorgina D'Amato, Antonio Mineo, Fabiola Lo Bosco, Giorgio D'Amato.

mercoledì 20 maggio 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: I manganellati

Chi non lo sa e non lo vede, Botero è un colombiano che quando pitta i quatri ti pare che ti sta prendendo per uno scimunito e che non lo capisci che pitta tutti alla stessa maniera che sembrano tutti dei bomboloni, dei palloni gonfiati  tanto sono grossi e grassi, e poi ci sono pure, in certi quatri suoi che ho visto alla mostra,  pure dei nani: insomma i freaks, che li conosciamo pure noi questi, che quando noi eravamo giovani ci chiamavano pure così: freaks, fricchettoni, una cosa così.
In questo quatro c’è un cristo, lo capisci perché ci ha la croce sulle spalle, e, come lo abbiamo già visto in altri quatri, è nudo, anzi in mutande; ha le ginocchia e i gomiti scorciati e insanguinati; io mi immagino che è caduto già tante volte; 

martedì 19 maggio 2015

Mi namo Emma

Mi namo Emma, ajo sei anni a frequenzo la classe quinta del Liceo Linguistico “Gige D’Alessio”.
La mia scola è la più granne de Milano: ci sunno tante sezioni e moltissimi iscritti. Solo nella mia classe (quinta A) semmo in 7.320.
Ricordo con nostalgia il primo anno, quando eravamo in 12.000… Troppi compagni non erano rolati per lo studio, quindi lascianno scola e dedicarsi a other.

lunedì 18 maggio 2015

Il calcio spiegato agli zingari con atteggiamento terrorista (ma con nome arabo)

Hai portato de attrezzatura Sahid?
Sì, Rashid. Ho portato de pantalonshino, de ballon, de maglietta da mette quando sudo…
No, Sahid. Noi non ggioca de pallone, noi prende de ostaggio e fa salta questo bello de stadio de calcio.
Ma non sarà meglio de vede prima de partita: ggioca de Milan, squadra de più forte di tutta Europa de Ovest.
Me no piace de Milan, io de tifa pe Partizan Belgrado, quella bella squadra con ggiocatori de caratura mondiale. Giocatori come Sasha Ilic, Danilo pantic, Ivan Saponjic, gente brava, giente de cuore. Tutto oro de trofei vinti fatto scioglie e messo a posto de denti.
Ah ma Rashid, Milan vinto de Champion, vinto de Scudetto. Vinto de tutto, è squadra più titolata de mundo. Perché deciso de fa saltare proprio questa squadra.
Perché no capisce quando te parla, ah, perché no capisce. Nostro objetivo è de presidente, dobbiamo prendere ostaggio de squadra e chiedere miliardo de euro a Berlusconi. Ma noi fa presto, prima che presidente vende de squadra ai tailandesi. Quelli meglio evitarli, usano coltellasshi lunghi e tagliano de testa. E me testa serve per spendere de soldi.
Ok, Rashid. Dove mettiamo de dinamite?
Piazziamo dinamite dietro de panchina de allenatore, dietro porta de uomo co guanti e nei scarpini de attaccante.
Quale attaccante? De Menez, de Shevchenko?
Ma che dici Sahid? Shevchenko appeso scarpino de chiodo, non c’è più. Scegli tu altro giocatore.
Posso scegliere io?
Non ciè problema Sahid!
Ok, ma como fasshio a mettere bumba inde scarpino de giocatore che corre.
Ah Sahid, te devo dire tutto como fare? Perché no capisce quando te parla. Tu fermi ggiocatore, punti de kalashnikov e se no si ferma, tu taglia de testa, rubi de bambino e stupri de moglie. Tanto semplice, dai, non ciè problema.
Ok, Rashid. Ma a me questa cosa de amazzare, de rubarie, non me piace più tanto. Piuttosto, vorrei fari comul’italiani che guardano de partita de calchio e dimenticano tutto. Dimenticano de crisi, dimenticano de guerre, de lavoro che non ciè. Io volio vedere de partita de pallone. Che dici ci ripensiamo?
Ma no Sahid, e cosa facciamo con tutta milioni de attrezzatura?
Non ciè problema, rivendiamo a bambini durante notte di capodanno. Calcio è bello, posa de dinamite, dimentica de fame de mondo.
Uhm Sahid, non mi convince.
E se chiediamo a questo Berlusconi di comprare giocatore de Partizan? Comu Andria Zivkovic, Stefan Babovic o Gregor Balazic.
Anche Vladimir Volkov?
Ah, non ciè problema, non cièproblema.
Va bene Sahid, vediamo de partita.
Forza de Milan, spacca tutto. Taglia de gola ad avversario, te rubo tutto. Lancio de lacrimonegeno, spacco bottilia, ammazzofamilia e stupro de Barbara. 

Gualtiero Sanfilippo

giovedì 14 maggio 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: Il migliore amico del cane

(sez. Museo Guttuso)
In questo quatro che non potete vedere c’è una grande armonia sia cromatica sia sentimentale: l’uomo, le bestie e la natura, tre elementi che si fondono delicatamente.
Sulla panchina di un parco pubblico è seduto un signore assai elegante e al suo fianco, quasi incollato, sta eretto sulle zampine anteriori un cagnetto pezzato. L’uomo, assai distinto, si presume possa appartenere a un ceto sociale elevato come dimostrano la bombetta sul capo e il papillon bordò sfoggiato con nonchalance; l’abito s’intona perfettamente con il colore di fondo del paesaggio. Il gentiluomo è intento alla lettura di un giornale; con un occhialino a pince nez che sfida ogni legge di gravità. Siamo certi che stia cercando errori ortografici e grammaticali che si premurerà di far notare inviando missive alla redazione. Scorre quotidianamente gli annunci matrimoniali, con estrema attenzione. Non cerca moglie, ma una cana femmina per il suo cagnetto, il quale finge indifferenza, ma in realtà vorrebbe lanciarsi nel parco e congiungersi caninamente con le bestioline che lo stuzzicano da lontano,- il padrone l’ha dunque assicurato al suo braccio con una catenella affinché diocenescampi questo non accada. - i cani di buona famiglia non si possono addizionare con la prima bastardina che passa, bisogna accertarsi della purezza della razza. La fortunata cagnetta deve avere pedigree di almeno un metro e mezzo di lunghezza e tanto di albero genealogico con pampine e contropampine, e che sappia abbaiare in almeno tre lingue diverse; il signore distinto se ne frega altamente della sofferenza del povero cagnetto che intanto ha cominciato a marcare la panchina, e noi siamo certi che in breve l’abito ben stirato sarà anche bello e inzuppato, ma tranquilli, la pipi avrà colore ambrato, sarà profumata e imbottigliabile. Noi consigliamo al distinto signore di levarsi 'sta bombetta dalla testa che da noi le bombette al massimo le riempiamo d’acqua e le chiamiamo gavettoni e ce le tiriamo addosso in spiaggia, o al più le bombette le mangiamo alla fragola e pistacchio al Foro Italico.
Lascia libero quel povero cagnetto e vatti a mettere infradito e canottiera che tra poco qui farà un caldo della Madonna.

Adele Musso

Storie di Cosa Nostra

Raccontare la seconda guerra di mafia, ascoltare le voci dei collaboratori di giustizia, rivivere momenti tragici attraverso narrazioni orali.
Martedì 19 maggio 2015, ore 11.30
Apertura a strappo all'ITC Sturzo di Bagheria.
Alla chitarra Carlo Gagliardo.

Filippo Marchese guarda Cesare Peppuccio Manzella nel fondo degli occhi e glieli scava con il suo caterpillar, gli inietta la sua potenza infinita. Cesare Peppuccio Manzella si sente cavato e arretra per quello che può - lui è attaccato a una sedia. Filippo Marchese gli ha lanciato la sfida di una decisione già presa, Cesare Peppuccio Manzella subisce la luce perversa e fa il conto alla rovescia del tempo che resta della sua vita.
Filippo Marchese si fa il segno della croce e gli poggia la corda sul collo, fa cenno a due persone che hanno già capito tutto e cominciano a tirare, la corda stringe il collo e il viso di Manzella ha uno strano rossore. Filippo Marchese si allontana di poco e guarda, Vincenzo Sinagra ‘un’dlì, lo sa già, va a tenere i piedi.
Peppuccio Manzella, a to’ storia finisci ccà, dice Filippo Marchese.

Poi esce.
(da L'estate che sparavano, di Giorgio D'Amato - Mesogea 2012)






Basta

Basta! Basta! Un basta non basta, ma non ci sono altre parole ora, hanno gli occhi della morte, svuotati dai pesci, e intanto i grandi parlano.
Ragioniamo verso la costruzione di una azione... l'Italia non è sola, dice la Merkel da Berlino. Più risorse per l'accoglienza di immigrati in Mediterraneo... molti più fondi... ma non ci si arriva più. 
Non vogliamo soldi, non vogliamo che si giri lo sguardo a questa carneficina. Occorre tanto lavoro, e non arriverà forse ad essere sufficiente. 
Forse è un lavoro di Intelligence, forse lì, dove i nostri governi civili hanno speculato sulla "morte" di questi paesi africani. L'Africa.
E' nostalgia e soli grandi come pianeti, rossi agli orizzonti e la gente come bambole, la gente come niente, meno di niente. 
I bambini continuano ad arrivare in ospedale, hanno il pancione dello Kwashiorkor, la denutrizione cronica e le lesioni da pellagra, forse hanno l'AIDS, l'epatite, la malaria, la tubercolosi, la leishmaniosi. Sono con gli occhi persi, bellissimi...
Continuano a voler fuggire con le madri mute, incomprensibili e che non tentano nemmeno di parlare per farsi capire. 
Sanno che non possiamo capire. 
Le bande di qua e di là del Mediterraneo lavorano incessanti. E allora bisogna andare in quei paesi e salvarli.
Dal disastro compiuto da noi. Europa, Inghilterra, America e i capi voluti da loro. Questa dell'Africa e' una non civilta' creata da noi. E se qualcosa va fatto e' toglierla alle multinazionali che gestiscono le risorse del pianeta. Non si fa altro che rattoppare con aiuti internazionali un continente ricchissimo e depredato. E tutto questo fa troppo male, da scagliare le bombe sui nostri paesi cinici e arroganti. Ci lucrano tutti e vogliono altri soldi dall'Europa affinchè distolga ancora lo sguardo. Facciamo gli spazzini del mare. Gli spazzini per un mondo che ci considera a questa stregua, togliendoci, comprandole, le nostre cose migliori, la nostra creativita' e ingegno. Anche  noi, Sud depredato.

Clotilde Alizzi

La strutturata architettura del Simposio di Platone

« Vive tra la sapienza e l'ignoranza, ed ecco come avviene: nessun dio si occupa di filosofia e nessuno tra di loro ambisce a diventare sapiente perché tutti lo sono già. Chiunque possegga veramente il sapere, infatti, non fa filosofia; ma anche chi è completamente ignorante non si occupa di filosofia, e non desidera affatto la sapienza. Proprio questo è sconveniente nell'essere ignoranti: [...] non si desidera qualcosa se non si avverte la sua mancanza.»


E lasciamo perdere tutto quel che nel Simposio viene raccontato su Eros e sull'amore, oggetto della disputa o, meglio, dell'accumulo di punti di vista che scorrono da Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane, Agatone a Socrate (ma anche Alcibiade), tutto quel che viene detto sulla bellezza prima e sulla bruttezza dopo, ma anche sulla sapienza e sulla superficialità e sull'inconsapevole rettitudine di chi non sa spiegare qualcosa ma agisce in modo corretto - dimostrando così l'esistenza di una terza posizione tra l'affermazione e la negazione. 
E continuiamo con l'unione tra amanti e amati, che classifica tra i primi i sapienti generosi e tra i secondi i giovincelli con sete di conoscenza - cosa che non deve far storcere il naso (a detta dello stesso Platone) in quanto tali incontri hanno uno scopo nobile. E che dire dell'arguzia con cui Socrate - riportando il discorso di Diotima - dimostra come Eros, figlio di una poveraccia e dell'espediente, altro non è che stratega dell'accaparramento del piacere misto a conoscenza. 
Ogni nuovo racconto, all'interno della narrazione, parte dall'affermazione della difficoltà di aggiungere qualcosa a quanto detto, e invece no, ogni punto di vista va oltre, un po' approfondendo, un po' ribaltando.
Ciò che spunta nel finale, a mo' di soluzione di un giallo che matura piano tra amanti brutti e vecchi - da una parte -  e amati freschi e giovincelli oltre che bellocci, è che Socrate (descritto con occhi sporgenti, naso camuso e ventre ad otre), in virtù della sua intelligenza (e del piacere sopraffino che può rendere la fascinazione di un suo discorso), nel suo rapporto con il bel Alcibiade non ricopre il ruolo dell'amante ma dell'amato (colpo di scena!).
Insomma, manco Ellery Queen o Agatha Christie (e senza bisogno di farcire la narrazione di morti e di vecchietti di periferia).
GD

« Poiché Eros è figlio di Poros e di Penìa, si trova nella tale condizione: innanzitutto è sempre povero, e tutt'altro che bello e delicato come dicono i più; al contrario è rude, sempre a piedi nudi, vagabondo, [...] perché ha la natura della madre ed è legato al bisogno. D'altro canto, come suo padre, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, audace, risoluto, gran cacciatore [...]; è amico della sapienza ed è ricco di trucchi, e così si dedica alla filosofia nell'arco di tutta la sua vita.»


Sintesi del Simposio (da liceo berchet )

Il convivio era stato organizzato per festeggiare la vittoria da lui conseguita al concorso tragico delle Grandi Dionisie. Questa occasione riunisce alcuni amici del poeta che sono espressione delle varie forme artistico-culturali in voga nell'Atene del V sec.a.C. I personaggi in questione sono stati anche interpretati come delle maschere che esprimono non solo singole individualità ma correnti di pensiero dell' epoca di Socrate e di Platone. Essi sono: Fedro (simbolo di quel tipo di uomini  che sanno provocare discorsi piuttosto che farne di propri), Pausania (maschera del retore politico, si avvale nel suo discorso di una retorica di tipo isocrateo), Erissimaco (rappresentante dell'ordine dei medici greci, ispirato ai filosofi naturalistici), Aristofane (simbolo della commedia greca), Agatone (icona della tragedia), Socrate (incarnazione del filosofo greco, non parla in prima persona, ma assume la maschera della sacerdotessa Diotima, a cui affida l'esposizione del proprio pensiero); ed infine Alcibiade (emblema del giovane dotato, ma incapace di cogliere fino in fondo il senso e le finalità del discorso di Socrate). Durante il banchetto i partecipanti decidono di pronunciare a turno un elogio in onore del dio Eros. Si susseguono così una serie di encomi circa le qualità e le caratteristiche di Amore che culminano nel discorso di   Socrate; la sua peculiarità è mostrare non tanto pregi e difetti, quanto la natura intrinseca di Eros arrivando ad una vera e propria confutazione di ciò che aveva detto in precedenza il poeta Agatone. Particolarmente interessante è la struttura tipica del "racconto nel racconto", dove il filosofo ricorda i suoi incontri con la sacerdotessa Diotima e gli insegnamenti di questa circa la natura e la funzione di Eros. L'opera si chiude con la comparsa finale di Alcibiade che pronuncia un discorso encomiastico nei confronti dell'amato Socrate.

martedì 12 maggio 2015

Torta al caffè


Il caffè è una bevanda diffusa in tutto il mondo e si ricava dalla macinazione di semi che si estraggono da una pianta sempreverde. Maggior produttore è il Brasile seguito da Colombia, Indonesia e India.
La varietà pregiata è l'arabica, poi c'è la robusta, ma quella usata da mia nonna non era male. Lei comprava il caffè in grani e lo macinava all'occorrenza per mantenere la fragranza. La lavorazione del caffè è un procedimento complesso che va dalla raccolta del frutto alla tostatura che ne stabilisce colore e aroma.

lunedì 11 maggio 2015

Letti per tutti: Uno sporco traffico

Sandro Camilleri
UNO SPORCO TRAFFICO
pagine 211, brossura vulcanizzata
Stordito editore, 2015.


L’ultima fatica di Sandro Camilleri (si tratta del cugino meno conosciuto di Andrea, che da alcuni anni scrive e pubblica dei libri, n.d.a.), una storia gialla che si colora di rosso e lascia fermi tutti per alcuni minuti con il respiro sospeso in attesa del verde.
La città di provincia nella quale è ambientato il romanzo è abitata da automobilisti rissosi e scorretti, sorpassano sulla destra o vedi una motoape che impenna frontalmente, eccetera.
Camilleri (Sandro, non il cugino) semina indizi acuti sull’asfalto nel corso delle prime quattordici pagine, con il risultato di forare le gomme di tutti i cittadini che si trovano a sfogliare proprio quelle pagine. Riesce appena in tempo a sfuggire al linciaggio, per sua fortuna l’intera zona viene chiusa al transito e adibita arbitrariamente a isola pedonale su ordinanza immediata del sindaco, con grande stizza di coloro che rimangono intrappolati al suo interno che si disperano piangono stridono forte i denti. 
Il ritrovamento di un vigile urbano in condizioni di evidente stato confusionale in un caffè-pasticceria fa scattare le indagini. Dopo trenta pagine di avvilimenti e incolonnamenti, l’ispettore Montalcino giunge sul posto. Nel frattempo al vigile confuso si sono uniti altri vigili, preoccupati per il collega, che in attesa dell’arrivo dell’ispettore hanno consumato la colazione e segnato tutto sul conto dell’autore (Sandro Camilleri, che non ha nessuna intenzione di pagare).

Je Suis Mattia Sangermano


È giusto spaccare tutto, così hai detto!
Hai approvato a gran voce tutti i manifestanti anti-Expo che hanno distrutto il centro di Milano. Capisco che ti va di finire in tv, saltellare da un canale all'altro e di stare sui social network;  di avere su YouTube un video tutto tuo! Puoi cantare, ballare da Amici o cucinare in qualche trasmissione televisiva, potrebbe fare al caso tuo!  Le tue manie di protagonismo le puoi colmare così!

venerdì 8 maggio 2015

AAS al Teatro Massimo

Domenica 10 maggio 2015 ore 18.15 AAS al Teatro Massimo nello spazio Caffè.
In programma:
L'arte spiegata ai non vedenti.

La rivolta delle patate

        



Questo quatro, che potete solo immaginare, restò incompiuto cari amici, anche il titolo ci pare un poco arrangiato: donne, cose, paesaggi. Se avessimo potuto incontrarci, caro Renato, te l’avremmo suggerito noi il titolo giusto, noi l’avremmo chiamato: la rivolta delle patate. Sapevi bene che la saggezza popolare è fonte di ispirazione, e cu mangia patate un mori mai, e chi le pitta neppure, tant’è che dell’argomento se ne parla ancora. E se da un lato ti dobbiamo ringraziare per questo amore sperticato per il tubero, dall’altro, ci perdonerai se ti muoviamo qualche appunto, perché di certo voi uomini amate mangiare, ma noi vi sappiamo cucinare.


Lei la doccia non se la poté fare

Ancora dentro la doccia è quella, è inutile che si sgrascia, nivura è e nivura rimane. A matula l’acqua scende, (chiudila disonesta che non me ne resta una goccia). Qui a Bagheria, paese delle balate pulite, acqua ne abbiamo poca e questa che fa? A fa scurrire a cascata.
Io non ci volevo venire in questo quadro, queste qua sono tutte per i fatti loro, chi è stravaccata a destra chi a sinistra, una è imbambolata davanti la macchina da scrivere, ma che fa scrive con il pensiero? Un’altra si taglia le unghia dei piedi e le butta per terra, che sconcezza! Quella in fondo, è così cretina che non si sa mettere neppure le calze. Parrucche, sofà, robbe buttate a munzieddu, c’è pure un teschio, (si vocifera souvenir di un amore finito malamente). Io glielo dissi a Renato che volevo andare in un altro quatro, ma lui qui mi mise; Renato io fimmina pulita sono, magari alla spiaggia mi potevi pittare che mi mettevo bella sdraiata con le carni al sole, oppure in quello dove le donne vanno e vengono che il bagno sicuramente era libero, perché là ferme non ci stanno. E invece, qua con queste sbullonate. Fuori c’è il mio uomo che mi aspetta, vedo il muso della Lamborghini gialla, mica robetta! E come mi presento oggi? Puzzolente?

Adele Musso


Depilazione coatta



Renato, ma picchì? picchì sta pinsata di stu quatru?!
Mi disse: Rosalì, depilati che ti devo immortalari spogliata!
Depilarmi? Io? ma voleva babbiari? lo sa benissimo, lui, che se non arriva l’estate questa operazione io non la pratico!
Con quattro moine mi convinse, arrivai e vidi dentro un grandi stanzuni tanti fimmini iccati a comu iè gghiè, mezzi nudi, col culo di fuori, che si facevano i fatti loro, pensai: ma unni mi purtò Renato? ma che quatro deve fari?
Mi venne incontro, m’abbracciò e mi disse a denti stretti: non ti sei depilata, vero? e io, candida, te ne sei accorto? e certo, porti calze coprenti nero funerale, Rosalì! e tu non puoi usare l’immaginazione per il quatro e mi fai passare l’inverno senza raffreddore? No! mi serve ora a to biddrizza. Sbrigati che nella doccia trovi pure l’acqua calda.
Con un bacio vinse ancora la sua volontà, (la capacità di quest’uomo di fare girare le fimmine come strummule non si può capire): rassegnata al mio destino mi spogliai, entrai nella doccia armata di schiuma da barba e rasoio, mi insaponai le gambe e con la lametta iniziai a mutilare i miei poveri peli!

Lucia Immordino.


Seeeeh... ma che dici!

Quella, sdraiata messa di lato, è convinta di avere il sedere più bello del mondo, addirittura più bello di quello di Sofia Loren. Dice di averlo sodo, tondo e pure di un bel colore (bella carnagione) mah !? Però non racconta di quand’era secca secca come un pezzo di legno e piangeva per un fidanzato mai avuto! La mamma disperata la portò dal medico di famiglia, quello che scrive le vitamine per ogni patologia, mal di schiena, influenza, diarrea, vertigini, mal di pancia, vanno sempre bene, male non ne fanno. Però questa volta ci azzeccò! Infatti la tizia cominciò ad ingrassare. Cosa le ingrassò per prima? Il culo. Orgogliosa di questa trasformazione, cominciò a vantarsi ad esibirsi come bellezza. Tanto ne era convinta che anche gli altri cominciarono a vederla bella. Gli uomini li conosciamo, sono pesci che abboccano subito all’amo, il suo culo diventò argomento di discussione la sua notorietà arrivò fino al pittore tanto è vero che anche lui abboccò e la dipinse di fianco, con il culo in primo piano!

Caterina Guttuso

giovedì 7 maggio 2015

A Bagheria solo due commercianti aderivano a ADDIO PIZZO


Il 23 Aprile scorso, al Liceo Classico di Bagheria, alcune classi incontrano uno dei fondatori dell’associazione Addio Pizzo,Vittorio Greco, ed Ernesto Bisanti, commerciante che nel 2007 decide di denunciare il suo estorsore e di entrare a far parte di Libero Futuro. Vittorio Greco, adesso professore nello stesso liceo, ci racconta della nascita dell’associazione. Tutto parte da una frase pronunciata da amici: “Ma a Bagheria il pizzo chi lo paga?”. Erano gli anni ’90 e da quella domanda si passa 14 anni dopo agli adesivi che in una notte riempiono le strade di Palermo. Si arriva a quel gesto che aveva suscitato così tanto scalpore in città da richiedere l’incontro di un comitato per la pubblica sicurezza di proposito. Vengono definiti “gli attacchini”, quelli che durante la notte vanno in giro per appiccicare gli adesivi un po’ ovunque, per sensibilizzare. “Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”.
Nel corso degli anni nasce l’idea di consumo critico e in seguito l’adesione di 3500 persone pronte a consumare solo da chi non paga o da chi aderisce all’associazione. Nel 2006 il passo in avanti. La presentazione di una lista di 100 commercianti che aderiscono ad Addio Pizzo. Nel 2007 arrivano le prime denunce e anche una piccola vittoria, i risarcimenti dallo stato. Nel 2007 anche un altro avvenimento molto importante colpisce Cosa Nostra: arrestano Lo Piccolo, padre e figlio. I Lo Piccolo erano infatti coloro che tenevano conto delle somme che la mafia guadagnava grazie alle estorsioni, con tanto di nomi e cognomi di quelli che pagavano. 
 Nelle società che pagano il pizzo c’è anche la Biga, quella di Ernesto Bisanti. Il signor Bisanti viene avvicinato nel 1986 da Gino Pensabene, persona che Bisanti conosceva in quanto lavoratore nel suo stesso settore. Pensabene era infatti costretto a riscuotere il pizzo dato che, se si fosse rifiutato, non avrebbe più potuto lavorare. A Bisanti venivano chiesti 6000 euro annui che, per paura di cosa potesse succedere a lui, all’azienda e alla sua famiglia, paga per 21 anni. Dopo l’arresto dei Lo Piccolo viene contattato da Libero Futuro per denunciare e dopo qualche perplessità decide di aderire e denunciare il suo estorsore. Per lui è un peso in meno e l’inizio di una vita tranquilla. All’incontro interviene anche una studentessa del liceo che fa parte di Addio Pizzo. Racconta come, proprio in un incontro del genere con una attivista dell’associazione, si rende conto della realtà mafiosa Bagherese. Quando aderisce lei, infatti, a Bagheria solo due commercianti fanno parte di Addio Pizzo. Decide di voler contribuire in qualche modo al movimento dell’associazione e decide di contattare il segretario,partecipa alle assemblee che si svolgono in sede e ne diventa membro a tutti gli effetti. Rispondendo alle domande dei ragazzi, Vittorio Greco ci parla del suo primo contatto con un commerciante, di come un commerciante può entrare a fare parte di Addio Pizzo e delle loro linee di intervento. Il primo commerciante a contattare l’associazione viene da Caccamo e decide di entrare in contatto con loro dopo aver visto uno striscione esposto allo stadio Renzo Barbera che riportava il sito dell’associazione. Dopo aver denunciato, la gestione familiare Scimeca di Caccamo non ha subito nessuna intimidazione ma un vero e proprio boicottaggio dato che il locale si era svuotato immediatamente o per paura o perché i proprietari venivano ritenuti degli infami, degli sbirri.
Ci viene poi spiegato come un commerciante può facilmente aderire all’associazione, dopo aver denunciato ma anche senza aver mai ricevuto richieste di pagamento. Quasi nessuno di quelli che fanno parte dell’associazione viene poi minacciato, dato che per gli estorsori scatterebbe immediatamente la denuncia. Vittorio Greco ci dice come, prima di accettare qualche società nell’associazione, hanno bisogno di fare dei controlli. Ci racconta il caso di quando sono stati costretti a cacciarne una dato che avevano un pregiudicato per mafia nell’amministrazione dell’azienda che gli avevano tenuto nascosto.
Tuttavia, l’associazione ora si basa più sulla prevenzione mentre prima si concentravano per lo più sull’adesione dei commercianti. Da Addio Pizzo sono nate infatti moltissime altre associazioni anti racket e molte collaborazioni con altre associazioni. Da Addio Pizzo nasce anche un’agenzia di viaggi che si occupa di organizzare tour in Sicilia servendosi esclusivamente di quelle attività che fanno parte di Addio Pizzo.
Nonostante tutta questa attività e colpi inflitti alla mafia, il pizzo rimane ancora fortemente radicato, soprattutto nel campo dell’edilizia. A chiederti il pizzo spesso non viene un uomo di cosa nostra ma magari un conoscente costretto a farlo. Gli uomini di cosa nostra si servono di minacce più o meno velate per convincere a pagare, magari facendo pressione sulla famiglia. Per avere un’idea di quanto lavoro c’è ancora da fare basta pensare all’esempio Bagherese. Se prima le attività che facevano parte di Addio Pizzo erano solo due, adesso se ne contano 16.
 (Ernesto Bisanti)



 (Vittorio Greco)
Per controllare le attività che non pagano il pizzo: http://www.addiopizzo.org/

Antonio Mineo

martedì 5 maggio 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: 'a Vucciria

In primis questo quatro è un quatro grande, e conviene taliarlo da lontano: senza mai dio si dovesse schiodare non lo so comu nni finisci.
Tanto tu non ci vedi, e pecciò picchì ti devi mettere vicino?
Ora ti dico quello che c’è pittato, però non è che è tantu facili: è un casino, c’è troppa vucciria!
Appizzato al gancio c’è un quartu sano sano di vacca.
Mischina tutto si ci vede: cairni, ficatu e carina. Un picciotto di chianchiere, che a taliallo bene bene non mi pare troppo spèrto, a vulissi fidduliare col coltello.
Ma capace che la carne non ti attira e macari un poco ti schifii?
Non c’è problema: là nfacci c’è una bella pescheria: pulpa, scuirmi, manciaracina, gamberoni e pisci i broru.
E’ tutto sdivacato sopra le balate, l’occhio è vivo e ancora satarìa: se suchi forte con il naso senti tutto il ciavoro del mare. L’unico che non si catamìa -pare che gli devono tirare una fotografia di come è ntamato- è il pisciaiolo, che fa finta di tranciare u piscispata: capaci che c’è a biunna i Linea Blu, che gira e firrìa è sempre ccà a mangiarsi le panelle con la scusa che è cultura, e lui tistìa, si sente tutto, picchì pensa che tutti i suoi parenti lo vedranno registrato.
Gli altri cristiani passano ncutti, le cascie sono assai e non c’è spazio: sono chine chine di aranci, di limoni e pomaroro; quanto costano c’è scritto nei pizzina, però dal quatro non si capisce niente, perché è scritto troppo nico,come al mercato quello vero.
Di altro che si può mangiare di verdura si vedono i cardoni, i fave, i finocchi e le alive cunsate, e se acchiani un altro poco sulla stratati puoi comprare pure formaggi o salsina, sasizza o murtatella.
Ora ti cuntu gli altri personaggi che si vedono nel quatro: c’è unu, ma accussì lariu -matri santa è vero e vero - che sta scendendo verso noi altri: ha un dolcevita giallo, ma caldo non ne sente. Le altre persone sono tutte sbrazzate e invece lui di sopra c’hapure la giacca di fustagno:sarà malato, hagli occhi tutti‘nfussati. E’ l’unico che non talìa niente di tutto quel manciare: la sola cosa che gli interessa è la bella signorina che gli sta venendo incontro. Noi a lei la vediamo di spalle, e anche di culo.
Ma a proposito: c’arrivasti tu a vederlo u culo della signorina?
No? Mi chi sfurtuna! Si vede che u Signuruzzu ti ha voluto castiare per qualche cosa ca facisti o che devi ancora fare!
Lo vuoi spiegato come sto facendo per il quatro? E come te lo spiego?Tu pensa a na cosa bella tunna, ma no sulu tunna: pensala pure liscia comu sita! A pinsasti? Ma veramente? Bih, chi fantasia!
Comunque, sta signorina sta portando i sacchetti della spisa, ma secondo me deve accattare ancora qualche cosa: basta ca non si ferma a parrare col picciotto malatizzu, piccarità, perché è veramente troppolario pi essiri normali!
Ah, mi stavo dimenticando delle lampade: ce ne sono tre, tutte addumate, che pinnuliano sopra il manciare. Si usa così:pure se è giorno pieno, tutto si deve illuminare!

Saranno lampeda cento, centocinquanta, forse anche di duecento: ma cu a paga sta currianti?

Giuseppe Pippo Visconti

La Via Crucis di Botero a Palermo

Botero, con le sue forme tondeggianti tanto conosciute, mi è sempre sembrato un pittore da satira, che dipinge personaggi-cartoni più che reali. Nell’accostarsi alla sua mostra cerco di informarmi sul perché di questo stile. Quando entro nella sala di Palazzo dei Normanni è un quesito che non sento più il bisogno di pormi: le tele comunicano qualcosa, lo stile si fonde col resto, non è più il centro dell’attenzione. E non c’è niente da ridere. Qui c’è tanta sofferenza, anche nelle goccioline di sangue che sembrano tutto fuorché vere. Eppure il realismo c’è, anche in queste forme così esagerate, che un Cristo morente così non l’abbiamo mai visto. E lui è sempre più grande degli altri, tutti prendono tanto volume, ma insieme a questo non sembrano acquisire peso. I colori sono forti, le pennellate evidenti, non c’è volontà di precisione ma il voler colpire attraverso contrasti, i volti arcigni e sempre uguali. Non c’è niente di bello, di santo, di salvifico. 
C’è Gesù crocifisso a Central Park, dietro la gente passa minuscola impegnata nelle occupazioni quotidiane, un tranquillo pomeriggio di relax al parco, con i passeggini e tutto. Non è chiaro se qualcuno si volga al corpo appeso alla croce. Per quanto riguarda lui, ha già dato le spalle al mondo. E sempre, in agguato, stanno gli avvoltoi pronti a cibarsi della sua carne, e i teschi che ridono. Giuda è verde e indossa un orologio d’oro. Le rughe della madre la allontanano dall’immagine perfetta che ne abbiamo sempre avuto.

Non è difficile anche per un non credente vedere nella passione di Cristo la sofferenza di tutta l’umanità, un’umanità che si fa folla, multicolore, volgare, obesa eppure piccola, grottesca, distratta e infine, dietro balconi porte finestre, che si dispera, piange, urla e si sbraccia. Di più non riesce a fare.



Valeria Balistreri


La mostra “VIA CRUCIS la pasión de Cristo” di Fernando Botero è visitabile dal 21 marzo al 21 giugno 2015 presso il Palazzo Reale di Palermo.

domenica 3 maggio 2015

Letti per tutti: Il Vitello grasso


Sandro Camilleri, IL VITELLO GRASSO

pagine 235, brossura vegetale edibile, 
Stordito editore, 2015.





L’ultima fatica di Sandro Camilleri (cugino di Andrea, che ha fatto della popolarità il suo punto di forza, n.d.a.), siamo in un paese di provincia, quale sia la provincia non è specificato, ma ha poca importanza dato che ormai sono state tutte abolite.

Camilleri (Sandro) ha sempre vissuto in un piccolo paese sulla costa siciliana, anche se poi si è trasferito ancora bambino nel capoluogo, lasciando con grande rammarico gli amichetti del pallone e la sua stanzetta di provincia, forse più di un cuoricino infranto tra le compagnette di asilo, ma andiamo avanti.

Il macellaio più conosciuto e corpulento della città, tale Vincenzo Vitello (il cognome può sembrare frutto di un banale e scontato giochetto di parole e invece Camilleri - sempre Sandro - riferisce essere vero), il macellaio, dicevamo, una mattina trova davanti alla porta di casa sua la testa mozzata di una pecora. Tra le scene teatrali di raccapriccio generale sospetta che si tratti di un avvertimento che puzza di carogna, quindi dopo avere servito gli ultimi clienti corre a denunciare il fatto alla polizia.

L’ispettore Montalcino, che per pura casualità si trova nella cittadina sulle tracce di uno sconosciuto che si ostina a chiedere soldi agli sconosciuti, viene incaricato di dare un’occhiata alla faccenda. Prende un appuntamento con il Vitello per l’indomani mattina di fronte al macello comunale, ma quando si reca sul posto trova il Vitello morto ammazzato, avvolto con cura nella pancetta con rametti di rosmarino e un mezzo limone in bocca, infilzato in uno spiedo, tutto ben legato che è un piacere a guardarlo. Il messaggio è più che eloquente, ma il vero messaggio, di carta scritta, si trova piegato nella tasca della vittima imporchettata, "AbBiamo SCannAto il ViteLLo GRassO", firmato da un sedicente gruppo RicetteVegan.