giovedì 14 maggio 2015

La strutturata architettura del Simposio di Platone

« Vive tra la sapienza e l'ignoranza, ed ecco come avviene: nessun dio si occupa di filosofia e nessuno tra di loro ambisce a diventare sapiente perché tutti lo sono già. Chiunque possegga veramente il sapere, infatti, non fa filosofia; ma anche chi è completamente ignorante non si occupa di filosofia, e non desidera affatto la sapienza. Proprio questo è sconveniente nell'essere ignoranti: [...] non si desidera qualcosa se non si avverte la sua mancanza.»


E lasciamo perdere tutto quel che nel Simposio viene raccontato su Eros e sull'amore, oggetto della disputa o, meglio, dell'accumulo di punti di vista che scorrono da Fedro, Pausania, Erissimaco, Aristofane, Agatone a Socrate (ma anche Alcibiade), tutto quel che viene detto sulla bellezza prima e sulla bruttezza dopo, ma anche sulla sapienza e sulla superficialità e sull'inconsapevole rettitudine di chi non sa spiegare qualcosa ma agisce in modo corretto - dimostrando così l'esistenza di una terza posizione tra l'affermazione e la negazione. 
E continuiamo con l'unione tra amanti e amati, che classifica tra i primi i sapienti generosi e tra i secondi i giovincelli con sete di conoscenza - cosa che non deve far storcere il naso (a detta dello stesso Platone) in quanto tali incontri hanno uno scopo nobile. E che dire dell'arguzia con cui Socrate - riportando il discorso di Diotima - dimostra come Eros, figlio di una poveraccia e dell'espediente, altro non è che stratega dell'accaparramento del piacere misto a conoscenza. 
Ogni nuovo racconto, all'interno della narrazione, parte dall'affermazione della difficoltà di aggiungere qualcosa a quanto detto, e invece no, ogni punto di vista va oltre, un po' approfondendo, un po' ribaltando.
Ciò che spunta nel finale, a mo' di soluzione di un giallo che matura piano tra amanti brutti e vecchi - da una parte -  e amati freschi e giovincelli oltre che bellocci, è che Socrate (descritto con occhi sporgenti, naso camuso e ventre ad otre), in virtù della sua intelligenza (e del piacere sopraffino che può rendere la fascinazione di un suo discorso), nel suo rapporto con il bel Alcibiade non ricopre il ruolo dell'amante ma dell'amato (colpo di scena!).
Insomma, manco Ellery Queen o Agatha Christie (e senza bisogno di farcire la narrazione di morti e di vecchietti di periferia).
GD

« Poiché Eros è figlio di Poros e di Penìa, si trova nella tale condizione: innanzitutto è sempre povero, e tutt'altro che bello e delicato come dicono i più; al contrario è rude, sempre a piedi nudi, vagabondo, [...] perché ha la natura della madre ed è legato al bisogno. D'altro canto, come suo padre, cerca sempre ciò che è bello e buono, è virile, audace, risoluto, gran cacciatore [...]; è amico della sapienza ed è ricco di trucchi, e così si dedica alla filosofia nell'arco di tutta la sua vita.»


Sintesi del Simposio (da liceo berchet )

Il convivio era stato organizzato per festeggiare la vittoria da lui conseguita al concorso tragico delle Grandi Dionisie. Questa occasione riunisce alcuni amici del poeta che sono espressione delle varie forme artistico-culturali in voga nell'Atene del V sec.a.C. I personaggi in questione sono stati anche interpretati come delle maschere che esprimono non solo singole individualità ma correnti di pensiero dell' epoca di Socrate e di Platone. Essi sono: Fedro (simbolo di quel tipo di uomini  che sanno provocare discorsi piuttosto che farne di propri), Pausania (maschera del retore politico, si avvale nel suo discorso di una retorica di tipo isocrateo), Erissimaco (rappresentante dell'ordine dei medici greci, ispirato ai filosofi naturalistici), Aristofane (simbolo della commedia greca), Agatone (icona della tragedia), Socrate (incarnazione del filosofo greco, non parla in prima persona, ma assume la maschera della sacerdotessa Diotima, a cui affida l'esposizione del proprio pensiero); ed infine Alcibiade (emblema del giovane dotato, ma incapace di cogliere fino in fondo il senso e le finalità del discorso di Socrate). Durante il banchetto i partecipanti decidono di pronunciare a turno un elogio in onore del dio Eros. Si susseguono così una serie di encomi circa le qualità e le caratteristiche di Amore che culminano nel discorso di   Socrate; la sua peculiarità è mostrare non tanto pregi e difetti, quanto la natura intrinseca di Eros arrivando ad una vera e propria confutazione di ciò che aveva detto in precedenza il poeta Agatone. Particolarmente interessante è la struttura tipica del "racconto nel racconto", dove il filosofo ricorda i suoi incontri con la sacerdotessa Diotima e gli insegnamenti di questa circa la natura e la funzione di Eros. L'opera si chiude con la comparsa finale di Alcibiade che pronuncia un discorso encomiastico nei confronti dell'amato Socrate.