martedì 31 marzo 2015

AAS alla fiera delle palme

Corso Umberto a Bagheria diventa un serpentone di stand e bancarelle. La fiera delle Palme l'hanno chiamata. Vasta esposizione di artigianato e prodotti tipici, organizzata dall'Associazione di volontariato Futuro Anteriore. Tra hobbisti e produttori ci siamo anche noi di AAS che facciamo libri. Noi li esponiamo su un tavolo in legno, una coperta a striscie, li stendiamo su due cordicelle di fortuna da un angolo all'altro del nostro gazebo, i nostri block notes in bella vista.
Offriamo le nostre letture, ci confrontiamo, scambiamo pareri e due chiacchiere amichevoli, otteniamo consensi dalla gente. E la gente si ferma incuriosita, ci guarda, ci cerca, si ricorda di noi, di averci già visti, già letti, ci ascolta, è già un successo per noi. Un cielo nuvoloso ci accoglie ma poi il vento lascia spazio al sole: due bellissime giornate calde di emozioni. Sei una ciara gazebi, urla una ragazza che si trova due stand più avanti a noi, e mi viene da ridere. Accanto a noi Tamara che ha organizzato tutto l'evento con il suo stand, la sua associazione, le sue marmellate e biscottini a forma di cuore e non. Noi di AAS e i nostri libri. Rivediamo con piacere chi già conosciamo e con qualcuno abbiamo già avuto il piacere di collaborare, conosciamo anche persone nuove che ci colmano di attenzione. Allargare il cerchio delle nostre conoscenze, distribuire parole scritte, pensieri, trovare chi come noi nutre passione per la lettura e la scrittura è fonte di grande entusiasmo per noi di AAS, linfa di crescita preziosa. Mentre alcuni di noi liberano parole, offrono letture, Giorgio in una estemporanea di pittura dipinge un quadro per AAS. Ci sta una bella latta di pomodoro che ci rappresenta e tutti ammirano. Lo porteremo con noi, come foto del momento.
Nel pomeriggio un gruppo folk di Monreale anima il corso con danze e canti popolari.
Noi di AAS offriamo uno spazio di letture che coinvolgono molto il pubblico. La cassa, il microfono, il leggio, si legge! Per la nostra Arte spiegata ai non vedenti proiettiamo anche delle immagini. La gente ci ascolta e ride, e ridiamo anche noi. Noi di AAS.
Nina Tarantino



lunedì 30 marzo 2015

AAS al Bobez - editori allo scoperto

Non c'è campo, siamo isolati dal mondo dei social, al Bobez galleria d'arte, che si snoda in un grande ambiente seminterrato nel cuore di Palermo. Riscopriamo la conversazione, tocchiamo i libri, li sfogliamo, rispondiamo alle domande dei visitatori.
Ci si muove tra sculture particolarmente interessanti, finalmente plasticità al maschile (del nudo femminile siamo saturi), dipinti di Ignazio Schifano, talentuoso artista le cui opere rendono meno disadorne le pareti della galleria, libri, scrittori, editori e ospiti.
Il primo banchetto è il nostro, Aas press, con i nostri libri autoprodotti e le borse con i pelati che ricordano il genio di Andy Warhol,  in Sicilia il pelato ha il suo perché, Andy è arrivato dopo.
Siamo in tanti, ciascuno con le proprie peculiarità, è questa la ricchezza dei gruppi. A seguire le altre case editrici, incontro amici che da virtuali divengono reali, "mi piace" glielo dico in faccia. L'obiettivo è fare rete, le piccole case editrici indipendenti contro gli squali mangiatutto. Lo abbiamo scritto nel manifesto affisso ai muri, speriamo che i lettori stiano dalla nostra parte.
Federico ed io assistiamo al Reading che fa da apri pista ai vari momenti culturali, ascoltiamo delle letture tratte da un testo edito da Spazio Cultura, con Nicola Macaione, abbiamo già collaborato, la divulgazione della lettura, fare cultura sono progetti che ci accomunano.
Incontrare gli scrittori che ci mettono la faccia per noi è normale. Qualcuno si complimenta per la scelta grafica dei nostri volumetti, orgogliosi del nostro Raimondo Quagliana, c'è amore per il libro, dalla prima riga di inchiostro all'ultima di copertina. I libri non sono prodotti da esporre negli scaffali dei supermercati, e le librerie dovrebbero restare tali. In fondo alla galleria c'è uno studio d'arte, avverto l'odore delle vernici della trementina, tra libri, entusiasmo e voglia di fare, in questo luogo ci siamo sentiti a casa.

Adele Musso

giovedì 26 marzo 2015

Mimise


Ecco questo é il meraviglioso posto che mi hai riservato, peccato che sia minuscolo, lì all'estremo angolo, al buio vicino alla finestra spalancata, un invito ad andarmene! A mare, ad annegare magari.
Mi hai disegnata così lontana per nascondere gli affanni della vecchia, hummm che sei dolce, troppo gentile ricordamelo. 
Io, Mimise, tua moglie, io che ti sopporto da una vita tu che puzzi di fumo , alcool, con la casa sempre invasa di gente non si può mai stare tranquilla. 
Io, Mimise, tua moglie, mi sbatti così all'angolo con in primo piano le tue indecente patate, queste giunoni in posizione lascive, erotiche come parte della tua vita quotidiana. 
Mi hai nascosta lontana al tramonto dei tuoi pensieri dietro le orbite vuote di questo macabro cranio.

'a mmia.

Isabelle Herve

mercoledì 25 marzo 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: Narciso

In questo quatro bellissimo si può vedere la figura di un ragazzotto messo a cuncumeddu. Il giovane elegante con corpetto decorato, larghe maniche a sbuffo e pantaloni verde smeraldo, talia l’acqua.
L’amico sua gli disse che in tardo pomeriggio, prima ri scurari, a tali puntu si putevanu viriri pisci ri broru. U picciotto talia e ritalia ma pisci unni viri, invece si sta infangando u bello pantalone verde smeraldo e puru i capiddi si sta scumminannu. L’acqua na stu punto pari morta un si movi, allura pensa: mi puteva stari a casa ravanzi o fucularu, tanto ru patate bollite me matri mi fa sempri.

Invece no stasira vonnu manciari pisci, ma senza spenneri soldi e u mischineddu ri mia l’avi a truvari. A forza ritaliari, viri a so faccia nell’acqua: matri chi faccia ri pisci bollito senza limiuni sprimutu chi ‘aiu! Riflette……. ma vo viriri ca du disanuratu organizzò tutta sta manfrina pi dirimi “faccia di scurmu“ a mia ?!?

Caterina Guttuso

martedì 24 marzo 2015

Il sognalibro

… quando l’ozio non è padre del vizio

Mi chiamo Serena, ho 33 anni. Sono una mamma. Casalinga non per scelta, ma perché dopo una laurea in Lingue e Letterature Straniere, saltellando tra un lavoretto e l’altro, troppo indecisa su “cosa farò da grande”, non ho fatto niente. Almeno finora… Questo c’entra e non c’entra col club perché, se avessi avuto un lavoro vero (o meglio, un lavoro considerato tale) forse oggi Il Sognalibro non esisterebbe.
Essendo mamma e casalinga, non ho molto tempo per guardare la tv. In realtà l’accendo di rado, sia perché non mi piace (ebbene sì: casalinga non equivale necessariamente a cerebrolesachesistordisceconladursoeaffini) sia perché, nella maggior parte dei casi, è sintonizzata su canali di cartoni animati (ebbene sì: mamma non equivale solo a daigiochiamotuttoilgiornotuttiigiorniinmodosanoecostruttivo).
Un pomeriggio di circa un anno fa, però, mia figlia – stranamente – dormiva. Io – stranamente – non avevo niente da fare e – ancor più stranamente – ho acceso il televisore. Ho cominciato a fare zapping alla ricerca annoiata e sfiduciata di un film. Mi sono imbattuta in un filmetto, credo americano (ho riconosciuto il viso di un’attrice che probabilmente faceva una sit-com secoli fa), che aveva per protagonisti degli studenti universitari. Una di loro (quella forsedellasit) s’incontra con delle amiche per il consueto appuntamento del club del libro e invita un tizio, il tipico collega sfigato-ma-carino e per di più amante della lettura proprio come lei (che nella vita reale è l’utopia di molte secchione carine-ma-sfigate). Per me il film, che doveva essere iniziato da più di mezz’ora, e che di certo aveva ben altra trama che il club del libro, comincia e finisce qui. Faccio ancora un po’ di zapping, dopo 3 o 4 minuti la grossa cornice di plastica nera e materiali non meglio identificati appesa al muro smette di esercitare su di me ogni fascino, la spengo e mi dedico ad altro.
Qualche giorno dopo mi collego a Facebook e leggo la consueta impersonale domanda che si pretende intima e amichevole: - A cosa stai pensando? – ci rifletto un attimo e poi scrivo sul mio diario virtuale: - A tutti i miei contatti: mi frulla per la testa di organizzare un club del libro… - e spiego anche come lo vorrei impostare. Avrò ricevuto sì e no 2 o 3 mi piace e un paio di commenti insulsi. Solo una persona – vera, in carne e ossa – di cui posso affermare l’esistenza oltre lo schermo perché si tratta di una mia ex-compagna di liceo, si mostra entusiasta dell’idea. Con un’altra, che aveva messo solo il mi piace, ho dovuto combattere per convincerla a superare la timidezza. Ancora l’idea del club era piuttosto fumosa, ma l’unica certezza era che volevo un gruppo di persone VERE, da incontrare fisicamente e con le quali avere uno scambio dal vivo.
Passa qualche altro giorno, il mio post giace nell’indifferenza dei miei circa 100 contatti. Posto di nuovo lo stesso stato. Stavolta all’entusiasmo della prima amica che aveva già commentato in precedenza, si uniscono altre due (la timida, di cui sopra, e l’accollativa). Creo l’evento su Facebook, ci diamo da fare, invitando un gran numero di gente, tra amici e amici degli amici. Nel frattempo abbiamo usato il passaparola con altri conoscenti allergici alle “reti sociali”, ma fiduciosi in un percorso di lettura condivisa.
Il luogo scelto per il primo incontro, quello che ho chiamato “Per rompere il ghiaccio…” è La Feltrinelli a Palermo, il posto ideale per abbozzare il futuro del club, respirando gli odori provenienti dalla caffetteria e buttando lo sguardo verso qualche titolo sugli scaffali che accomuni questo gruppo di quasi-estranei. Quel giorno siamo in 8. Le prime regole su cui ci troviamo tutti d’accordo sono poche: si sceglie un libro, lo si legge (ognuno per conto proprio), dopo un mese ci s’incontra e lo si commenta, per poi sceglierne un altro e così via.
Pian piano abbiamo aggiunto e modificato le regole, per esempio il metodo per scegliere il libro da leggere: per un periodo ognuno ne proponeva 3 in base al gusto personale, purché fossero testi che nessuno avesse già letto (compreso il proponente) e poi si faceva il sorteggio di un titolo tra tutti quelli nella lista risultante. Col passare del tempo, visto che la fortuna premiava spesso le stesse persone, si è pensato che, per dare a tutti il piacere di condividere una propria preferenza, ma anche per allargare l’orizzonte letterario di tutti e conoscere generi che magari singolarmente non si erano mai affrontati, abbiamo deciso che a turno fosse un solo socio a candidare tre titoli da mettere ai voti.
Forse, detta così, sembra una faccenda seriosa e arzigogolata, ma in realtà è tutto molto divertente: siamo un gruppo eterogeneo, persone accomunate dall’interesse per la lettura che condividono del tempo di qualità. C’è l’appassionato di noir, l’amante del fantasy, quella che predilige i romanzi d’amore, l’altra che ripete “per me va bene tutto purché sia scorrevole”, la bulimica che ha sempre fame delle letture più disparate… C’incontriamo a casa, di volta in volta chi vuole ospita il gruppo e ci si confronta sui libri, su cosa ci hanno lasciato, sullo stile in cui sono scritti, se sono attuali… che bella cosa! Sapete quante chiavi di lettura si possono avere di un solo libro? Non amo le frasi fatte, ma devo ammettere che davvero la condivisione arricchisce tantissimo (parola di una che non guadagna un soldo!).
Noi, il nome al club lo abbiamo dato quasi subito, dopo il primo incontro. Sembra una banalità, ma è importante identificare il gruppo cui si dà vita, si sente di appartenere a qualcosa di meno astratto e si ha un maggiore senso di responsabilità verso gli altri componenti. Ci chiamiamo Il Sognalibro, siamo una ventina e il 30 marzo compiremo un anno.
Ricordatevi che, per organizzare un club del genere, non bisogna essere degli intellettuali. Ognuno contribuisce con la propria sensibilità e capacità, senza grosse pretese o aspettative.
 In ultimo voglio sottolineare che l’uso dei social network è utile e positivo se finalizzato a creare legami sociali REALI, anziché luoghi virtuali dove si è soli, sebbene si abbiano centinaia di amici che sono solo contatti fantomatici ed evanescenti che spariscono appena ci disconnettiamo.

Serena Giattina

lunedì 23 marzo 2015

Diario di una lettrice di poesie (sull'autobus in occasione della giornata mondiale della poesia)

Mi sveglio presto e scrivo una poesia; la voglio regalare al mio vicino che ha deciso di morire ieri sera.
Oggi è la giornata mondiale della poesia. E’ il 21 marzo ed è Primavera.
Ci siamo mobilitanti in tanti, vogliamo coprire il silenzio – la gente non sa più cosa dire -  con le parole speciali della poesia, io e Adriana e Peppa lo faremo sul treno , da Bagheria a Palermo; alla stazione ci vengono incontro Leonora e alcuni suoi amici armati tutti di fogli e sorrisi. Sui vagoni ci sono pochi viaggiatori, ci sediamo fra loro, qualcuno ci sorride e ci ringrazia, qualcuno abbassa gli occhi, “non capisco la lingua”…regalo pagine. Resto sola con due ragazzini su uno scompartimento di
transito, vicino la porta, in attesa di arrivare alla stazione di Palermo e suggerisco loro di leggere a me una delle poesie che mi sono portata dietro; il ragazzino pettinato alla James Dean mi dice, leggo sempre io a scuola, so leggere!
Mi sono smarrita alla stazione di Palermo e mi ritrovo dentro un gruppo di scout  in gita -  leggo poesie di Rodari e di Montale poi scappo via, in cerca dei miei compagni. Fuori dalla stazione  aspetto l’autobus e intanto mi attacco il tesserino di riconoscimento, con il nome scritto sbagliato. Sono sola ma salgo lo stesso in Via Roma, salgo dalla bussola di dietro e mi accoglie un gruppo rumoroso , è la giornata mondiale della poesie dico, vorrei leggervi alcune poesie - ho ancora Rodari , mi sembrano bambini – leggo, alzo gli occhi dal foglio ad ogni pausa, li guardo in faccia le ragazze con le labbra rosse e i ragazzi con le creste, mi urlano sopra e faccio fatica a sentirmi, la poesia è breve e arrivo in fondo, all’ultima parola, “allegria”, sono una strana, dicono, è matta, ripeto che è una giornata speciale…leggo ACROBATA di Sanguinetti, loro urlano e io vado avanti nel bus fino alla bussola centrale dove attendono per scendere due neri africani e altri due adulti palermitani, ipotizzo, chiedo se posso leggere una poesia -  ripeto la solita : “oggi è la giornata..” , due guardano, l’altro fissa le scarpe da ginnastica macchiate di pomodoro  e di fango, io leggo la poesia di  J. Von Einchendorff  - Dorme una canzone in ogni cosa. Se ne sta lì, e non smette di sognare. Se la parola magica riuscirai a trovare dalle cose uscirà la musica armoniosa - .  Regalo loro fogli di poesie, sorrido e chiedo se vogliono leggere – no. Vado dall’autista lo saluto  - dietro i ragazzi mi urlano di scendere, io scendo, li saluto con la mano ( mi fanno un po’ pena ) –
continuano ad urlarmi addosso ingiurie; sono in via Libertà, mi guardo attorno e sull’altro lato della strada vedo Valeria, Federico e Sabrina, ritorno a piedi a Piazza San Domenico, intanto regalo poesie ai passanti , ripeto la solita “oggi è la giornata..posso leggerti una poesia?” 
A piazza S. Domenico ritrovo il gruppo. A voi com’è andata?!  Bello, bello,  qui la gente ringrazia..
“Oggi è la giornata mondiale della poesia”, io ed Adriana siamo sul 202, ai due estremi del bus , ci scambiamo un occhiata, i posti a sedere sono tutti occupati, lei si tiene ferma con una mano e con l’altra regge il foglio, legge e c’è solo un leggero brusio, lo sguardo dei passeggeri sfugge fuori dai finestrini, sulle maniglie, sulle scarpe. Davanti a me, appesa al maniglione vicino all’autista, le ragazze sedute sorridono nervose. Alla fine bisbigliano, grazie, l’altra – non ho capito, ti regalo il foglio, lo leggerai stasera ..grazie.



Rosa La Camera

Un giro - in giro con AAS (tra Marineo e la giornata mondiale della poesia)


Venerdì 20 Marzo, si parte. Destinazione Marineo. Presto sbrigati che è tardi. I brani nuovi li ho stampati, i libri li ho presi. - Dai, proiettore, cavi, pc. Al Castello noi di AAS ci siamo già stati, il venerdì precedente, ma ci ritorniamo con piacere. Un amore reciproco, ci rivogliono.  

venerdì 20 marzo 2015

Je suis Lupi

In Parlamento, seduto. Da solo. Ho perso la fiducia di tutti. A Montecitorio non mi volete più! Fuori! E mi puntate il dito contro! Non ho dove appoggiarmi! Morte sicura per me? Neanche tu Renzi mi vuoi? Ma tu cu si?
JE SUIS LUPI. Io non sono indagato! Io non ho fatto nulla di male! Io non me ne vado! Non ci penso proprio! Io nella politica ci metto passione. Non me ne voglio andare!

Lupi, vengo lì e ti ammutto io! Non voglio rischiare un'altra crisi! Lasciamo perdere l'orologio di tuo figlio, un regalo. Molla l'osso! E certo che lo capisco quanto sia importante per un padre vedere il proprio figlio sistemato, trovargli un lavoro. Capisco. Capisco che è un furto, hai ragione 447 euro per fare andare la mogliettina da Milano a Bari sono troppi! Capisco. Ora però sloggia! Amunì, susiti dalla poltrona. Con le buone. Oggi 19 Marzo. Ti piacciono le sfinci di San Giuseppe? Mangiane una, - te la porto io - che ti fai la bocca dolce e accura a non sporcare ancora la poltrona, dai! Dimettiti! Vuoi chiarire la tua situazione? Ci penso io ad interrogarti! Vengo lì! Prenoto il primo volo a tuo nome, subito disponibile, che sei Ministro dei trasporti. Poi prendo un taxi, uso ancora il tuo nome, vengo subito! A du priezzu! Sono arrivata per fare luce sulla faccenda. I punti interrogativi mi fanno incazzare. Mi dimetto/non mi dimetto? Deciditi! 
IO SONO INCAZZATA! SONO MOLTO INCAZZATA! Un ponte che finalmente unisca la mia Sicilia all'Italia. Dov'è? Il sogno sullo stretto - Quantu ni custò? La crisi dell'Alitalia e Meridiana, comu finì? Tu che sei ministro delle infrastrutture e dei trasporti, conosci la risposta? E mentre ti interrogo, tu lo senti il tacco del mio stivale sui tuoi stinchi.
Ti punto un faro negli occhi, e ti faccio interrogatorio di terzo grado. L'altro stivale. Sapremo la verità! Ora ti vuoi dimettere?

Nina Tarantino

giovedì 19 marzo 2015

Letti per tutti: L'età celata

Sandro Camilleri, L'ETÀ CELATA
pagine 233, brossura, 
Stordito editore, 2015.



L’ultima fatica letteraria di Sandro Camilleri (si tratta di un cugino del famoso Andrea, a cui è scappato il pallino della scrittura) sembra risentire di tutto il peso della terza età. Sappiamo dal suo biografo personale (Ugo Camilleri, omonimo ma non parente né dell’uno né dell’altro cugino) che l’età di Camilleri (Sandro) si aggira intorno ai sessantacinque anni e tre mesi. Il biografo Camilleri (Ugo, l’omonimo) non riesce a essere più preciso in quanto ha continue difficoltà a incontrare l’autore in persona, ci ha provato più volte nel corso dei decenni passati, ma è stato sempre messo alla porta dal portiere dello stabile o inseguito dai cani prima ancora di avvicinarsi al portone. A queste condizioni è estremamente difficoltoso per Camilleri (il biografo) tracciare una biografia realistica o almeno verosimile di Camilleri (Sandro, non un parente).

Ma andiamo al sodo. Il libro è ambientato in una casa di riposo per anziani autosufficienti dove nottetempo si consumano piccoli delitti. In mancanza di grandi mezzi, gli ospiti vengono trovati cadavere con accanto un piccolo coltellino di plastica, in virtù della teoria che quando si invecchia si ritorna bambini

mercoledì 18 marzo 2015

Je suis Battiato

Al Petruzzelli di Bari, sul palco. Alla fine di uno dei miei concerti. Mentre stringo la mano al pubblico inciampo su un monitor. L'ultima esibizione del mio tour finisce accussì! Cantavo Voglio vederti danzare, e dovevo ballare anche io, mostrare a tutti i miei passi di danza, e invece carivu e mi spaccavu un femore, il sinistro!

JE SUIS BATTIATO. 
Madonna è caduta con il mantello, pure firmato, io su una cassa monitor, che sono un musicista! Madonna si è rialzata di scatto sul palco e ha continuato a cantare. Io arristavu ciunco; ci vorrebbe un miracolo anche per me! E forse quello che mi è capitato è anche colpa di chi ci stava in Parlamento, quante troie che c'erano, e non mi volevano assessore al turismo in Sicilia, - ca pigghiavu a tutti 'pi latri e pi buttane; e ora mi pensano e mi picchìanu! 
IO SONO INCAZZATO! Botta ri sali a me che me ne sono andato via, io là dovevo restare, tutto intero in Parlamento!
Botta ri sali a chi mette 'sti monitor piedi piedi! Cu fu? Cercherò tra i tecnici, scoprirò chi c'era nello staff!
Se ti incoccio ti fazzu vedere L'era del cinghiale bianco! Ti fazzu fare La fine di un cammello in una grondaia! Se mi rumpivu Il Centro di gravità permanente, ti fazzu nuovo! Non può finire così la mia Stagione dell'amore!
Se ti incoccio...per colpa tua: Operato. Mi hanno attaccato tre viti al titanio. Starò seduto per tre mesi. SONO TROPPO INCAZZATO! E ti vengo a cercare! Cuccurucù, qua sono!
Ti afferro, ti spezzo l'osso del collo, ti cambio i connotati. Ti sconzo La Fisiognomica. Ti tiro le stampelle! Poi ti fazzu un autografo!
'Ni viriemu in ortopedia! (Va pagati 'u ticket!)





Nina Tarantino

martedì 17 marzo 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: Adamo Eva di Caterina Guttuso


Questo quatro ritrae Adamo che se ne sta bello tranquillo sulla sua foglia, con tutte cose all'aria che si prende il sole. Lo sapete perché lo chiamavano paradiso terrestre? Perché Eva non scassava! Pure lei se ne stava con le grazie al vento e non aveva mai mal di testa, ciclo o stanchezza. Poi un giorno, non lo so come, ci venne di dire: Ada', nn'amu a moviri, un putiemu stari sempri a taliarinni, amu a fari occhiccuasa! 
Mi lastima, mancu arrivò e già vuali cumannari! Ma che c'era da fare? Erano i prediletti da Dio, potevano mangiare tutti i frutti che volevano tranne chiddu ca 'u Signuri un vulieva tuccatu (ma a iddu mancu ci appitieva) e soprattutto non dovevano lavorare! Guardatelo - ah scusate, insomma, si vede che Adamo cade proprio dal melo - dal pero, pardon: c'avissimu a fari? E cala 'sta manu.
Ora, Eva stava pensando che a moda tutti e due erano messi male e che quelle quattro pampine dove stavano seduti potevano servire a fare dei bei completi - o un bikini per me, che ne pensi? E nel quatro non si vede, ma tanto per voi è lo stesso: poi Eva si alza, strappa due pampine e si fa il pezzo di sopra.
E picchì t'a cummugghiari, ci dice Adamo, che ancora l'hai belle tise? poi quannu si vecchia si nni parra.
Ma tu chi nni sai? Picchì, nni viristi mai vecchie?
Adamo fa finta di non sentire e continua tranquillo a prendersi il sole.
Amu a fari cuacchi cuasa...
Niente, non l'ascolta.
Putissi affucariti cu frutto probito...

Valeria Balistreri

lunedì 16 marzo 2015

Apertura a strappo al museo Guttuso di Bagheria

Noi, femmine di Bagheria, in questo quadro non ci riconosciamo per niente, noi abbiamo un'altra personalità. Diversa.
Intanto noi le minne così cadute non le abbiamo avute mai, le minne delle bariote sono tise, di marmo - i reggipetti ce li mettiamo per figura -credetemi, non ce fosse neanche di bisogno.

Ieri, Domenica 15 Marzo 2015 a Bagheria si sono aperte le porte del Museo Guttuso, a Villa Cattolica. L'associazione CULTURALAB, con la partecipazione di ASSOGUIDE SICILIA, AGT e GTA, ha promosso visite guidate, per adulti e anche per bambini- e visita al museo per gioco. Pranzo in loco su prenotazione. Non manca nulla. Tutto ben articolato con impegno e professionalità. Grande evento, ben riuscito.
Anch'io rifaccio con piacere un giro del museo, mi accodo ai gruppi e ascolto le
guide. Un bel numero di gente ammira le opere che ci stanno. Osservo i tetti alti, la formazione di umidità non copre la bellezza degli affreschi, da restaurare. I quadri, i ritratti di Guttuso, alcuni non mi arrivano, altri mi catturano e rimango a guardare, approfitto del fatto che posso farlo. Ci siamo anche noi di Apertura A Strappo. Noi e la nostra Arte spiegata ai non vedenti. Tra i nostri progetti quello di presentarla in modo ironico che ti fai una risata e ti viene voglia di saperne di più. Abbiamo osservato e proposto il quadro Donne, stanze, oggetti di Renato Guttuso. Il pubblico ci accoglie. C'è chi ci vede per la prima volta, chi ci sorride, chi ci saluta con affetto Ciao come stai, è bello rivederti! Ci ascoltano con attenzione e si fanno fragorose risate. Lì per lì abbassano lo sguardo, non capiscono che ci facciamo là. Noi continuiamo, leggiamo e ci divertiamo. Risate e applausi. Ripetiamo più volte la nostra performance, soddisfatti di ciò che abbiamo scritto. Certo, l'esistenza della patata ha avuto una grande rilevanza all'interno del nostro reading e nessuno di noi l'ha mai messo in dubbio, ma parlarne davanti a tanta gente apre orizzonti differenti. Le risate e il riscontro positivo del pubblico ci ha rincuorati sin dalla prima lettura.
Scrivere e leggere che se la patata non vede acqua puzza, non è da tutti. Abbiamo letto di donne con le minne tise, per cui i reggiseni potevano non inventarli, di corredi completi, di mutande comprate a sei a sei, di donne bagheresi completamente immacolate, di donne con i pusa tanti che non se la fanno vedere neanche dal ginecologo. Abbiamo scritto e letto di donne tutte nude con le caldane, donne bagheresi passate di cottura. Abbiamo sfidato e rischiato. Abbiamo incontrato il favore di gente intelligente che ha capito e colto la nostra sagace ironia. Ci hanno ascoltato e applaudito. Ci hanno apprezzati. Questo credo sia stato per noi, al di là di tutto, il grande successo ottenuto dall'evento, la vera vittoria di Apertura A Strappo. E del progetto culturale che portiamo avanti. E siamo pure finiti su Rai 3, al telegiornale - effetto collaterale.

Nina Tarantino



domenica 15 marzo 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: le fimmine spugghiate di Guttuso


Guttuso vastaso, che cosa hai pittato? Con questo quatro hai fatto perdere la faccia al paese.
Che ora, quando vengono i forestieri a fare turismo a Bagheria, si immaginano di trovare le paesane spugghiate che gli fanno pigliare aria al parpaglio.
Botta di sale non ci bastavano i mostri, ora pure le fimmine spugghiate! Che uno che era inglese - ma per me era un ficarazzoto travestito - fermò a mia cugina Maria Assunta Crocifissa che è idda è casa e chiesa, neanche in putìa impinci (a quarantacinque anni è tutta intatta, sia davanti che di dietro), e questo filibustiere ci domanda tutto con l'accento straniero: listen signorina, listen, a che ora si spogghiano le women di Bagaria, sono arrivato troppo late?
Maria Assunta Croficissa se lo stava mangiando a stricasale, cornuto e babbione glielo fece fetere da tutti i lati. Che per poco intervenivano tutti i suoi fratelli e ci facevano la boccia. Lo avrebbero squartariato.
Noi, femmine di Bagheria, in questo quadro non ci riconosciamo per niente, noi abbiamo un'altra personalità. Diversa.
Intanto noi le minne così cadute non le abbiamo avute mai, le minne delle bariote sono tise, di marmo - i reggipetti ce li mettiamo per figura -credetemi, non ce fosse neanche di bisogno.
E poi questi gran culi sgummati, noi fimmine di Baaria tutto si ci può dire ma no che abbiamo il culo caduto che striscia per terra, per dire, quello delle mutande della via Mattarella, portò le mutande alla brasiliana, quelle che hanno l'elastico e sollevano il gluteo mollamoso: non ne ha venduto manco un paio, gliele ha aggirate sane sane al rappresentante. Questi sono articoli che da noi non vanno.
Ma poi, queste svergognate camminano nude casa casa, si desume che hanno le caldane, che sentono il bisogno di fare arieggiare la natura parpagliosa. Forse glielo consigliò il ginecologo.
A noi femmine di Bagheria, il ginecologo se ci vuole visitare si deve fare un'idea attraverso la gonna, la sottana e il cappotto, noi al ginecologo non abbiamo niente da fargli vedere. Se vuole, le tonsille.
E poi, se queste stanno nude, noi un pensiero lo abbiamo, non hanno quattro soldi per comprarsi la biancheria.
Noi femmine di Bagheria, e lo possiamo giurare, pure che non siamo sposate o ormai la congiuntura negativa è fatta di ragnatele e raggia, abbiamo sempre il corredo a sei a sei:
sei para di mutanne per uscire, in pizzo nero
sei para di mutanne per stare a casa, di cottonina bianca - per quei giorni
sei para di reggipetti, tre segsi e tre coprenti.
Che poi quando il pittore fa il quatro iddu pensa: chistu quatro buono per appizzarlo nella saletta vicino l'appendipanni, oppure pensa che il posto suo fosse nel salotto, o ancora ancora nella stanza di pranzo, ma un quatro di questo è solo adatto per una casa di riposo, che a li vicchiareddi ci scomparissero le cataratte all'improvviso (ma poi ci acchianasse la pressione e restassero tutti intostati).
Per tutte le cose che sono state dette, il Comitato delle femmine bagheresi con i polsi quanto un muratore, ha stabilito:
1. Questo quatro non ci rappresenta manco nella pilatura delle ascelle
2. Questo quatro è lario
3. Questo quatro distrae i nostri mariti
4. Manco i colori sono belli
5. Questo quatro l'hamu a livari. Chi lo vuole se lo può portare.

Giorgio D'Amato

venerdì 13 marzo 2015

Un cuore così bianco

Ho vergogna di avere un cuore così bianco – diceva Lady Macbeth riferendosi alla propria innocenza/ingenuità/ignoranza quando seppe dell’assassinio del re da parte del marito.

Fino a quando un cuore è bianco? Finché ignora il peccato altrui, dal quale si è contagiati anche solo attraverso la conoscenza, che è già partecipazione.
Nella tradizione teatrale giapponese Nō il colore bianco è associato al lutto. La morte è paragonata ad una pagina bianca, mentre la vita è l’inchiostro nero che riempie e anima quel nulla.
La sensazione di morte aleggia nell’atmosfera del romanzo da subito, da prima che il protagonista nasca (sia nell’ambito del tempo della narrazione, sia nella mente del narratore – che dice di non costruire mai una mappa delle storie che scriverà, ma si fa condurre dai personaggi man mano che escono dalla sua penna).
Il primo capitolo è dedicato, infatti, al suicidio della bambina-non più bambina che non poté mai essere la zia del protagonista. Dopo questa breve e intensissima scena, all’inizio del secondo capitolo (in realtà non ci sono capitoli: il libro è diviso in parti non numerate né titolate) nel giro di mezza pagina il lettore viene informato dei personaggi principali, dei rapporti familiari che intercorrono fra loro e dello stato d’animo predominante del protagonista: l’angoscia dovuta a “presentimenti funesti” che lo accompagnano fin dalla vigilia del proprio matrimonio (avvenuto poco più di un anno prima del momento in cui si svolgono i fatti).
Si è subito coinvolti nella sua inquietudine e titubanza attraverso un linguaggio pieno di “forse”, di “se”, di verbi al condizionale, di atteggiamenti misteriosi di alcuni personaggi che sembra vogliano dire e non dicono (almeno fino a un certo punto), in primis Ranz, il padre del protagonista (del quale scopriremo il nome – Juan – ben oltre la metà del libro).
Ranz, nonostante la somiglianza estetica col figlio, ha un carattere nettamente diverso: a differenza di Juan, che è estremamente razionale e sembra non lasciarsi coinvolgere mai più di tanto dal punto di vista emotivo (per gran parte del libro ci si chiede se e quali sentimenti nutra nei confronti di chi lo circonda), Ranz ha verve, i suoi occhi “limpidi come grandi gocce di liquore o di aceto” sono animati dal fuoco della passione, è un amante dell’arte – ha lavorato per tutta la vita nei musei, arricchendosi grazie tanto alla sua arguzia quanto a dei sapienti magheggi in combutta con un amico falsario – e proprio il giorno delle nozze di suo figlio, ha con lui un dialogo ambiguo a proposito dei segreti che esistono e si mantengono tra marito e moglie, che instilla nel lettore curiosità: - Sei sposato. E adesso? …Da questo momento si sviluppa una curiosità crescente non solo verso Ranz, ma anche verso Luisa, la moglie di Juan. Si è portati a dubitare di tutti i personaggi. Chi nasconde segreti? Chi ha fatto o farà qualcosa di terribile? I presentimenti funesti di Juan hanno ragione d’esserci? 
L’atmosfera inquieta è accompagnata dalle superstizioni: le donne cantano tra i denti la canzone che gli cantava sua nonna da bambino per mettergli “allegramente” paura – è come se le donne partecipassero di segreti iniziatici e magici che agli uomini sono preclusi – Ranz era considerato sfortunato dalla suocera, per la sua triplice vedovanza; per la stessa ragione, invece, il suocero lo guardava con sospetto superstizioso, appunto e con un timore forse irrazionale.
Una delle caratteristiche di questo libro stra-ordinario che mi ha colpita è la ripetitività, anch’essa inquietante, delle azioni compiute da personaggi diversi e distanti nel tempo, nello spazio e nei rapporti. Proprio come una cantilena di sottofondo, le parole o le azioni dapprima si ripetono in modo apparentemente casuale, come se solo Juan le notasse grazie alla sua particolare sensibilità (o deformazione professionale) dovuta anche al suo mestiere: è interprete e traduttore, come sua moglie, dunque attento alle sfumature di significato tanto delle parole e dei silenzi, quanto delle azioni. Man mano che ci si addentra nella storia, questa ripetitività si fa più marcata e frequente, fino a giungere al suo apice nel racconto-fiume di Ranz. A questo punto ci si immedesima sia con chi, dopo aver taciuto per troppo tempo, non può frenare la lingua, sia con l’ascoltatrice (Luisa) che aveva insistito tanto per SAPERE, ma quando sarà costretta ad ascoltare, vorrebbe tornare indietro, infatti è quasi un’implorazione la sua gentile e ripetuta frase: - Non me lo racconti se non vuole – Ma è troppo tardi: non può scegliere di non sentire.
Qui, con la mediazione di Juan, che ascolta il dialogo tra suo padre e sua moglie dalla camera da letto, senza sapere se i due sanno della sua presenza (altra fase d’incertezza), l’autore riunisce tutti i fili che finora sembravano isolati in un’unica tela e dimostra – come farà dire a Juan quasi alla fine della storia – quanto sia inutile stabilire CHI dica COSA o chi non lo dica né faccia: il mondo è fatto di storie che si ripetono identiche a se stesse, per quanto chi le viva si affanni, scegliendo – o credendo di farlo – ed è come se niente di ciò che succede succeda davvero.
Gloria, Teresa, Juana, Luisa, Miriam, Berta, Nieves, Juan, Ranz, Guillermo, Custardoy, Villalobos, Bill… sono solo nomi! L’azione del singolo è irrilevante. Ciascuno potrà fare domani ciò che uno ha fatto oggi. È pur vero che tutto ciò potrebbe essere un modo dell’autore per dire che tutti i personaggi esprimono pensieri dell’autore stesso, da qui l’irrilevanza della loro individualità e la possibilità di creare azioni ripetute.
Alla trama, splendidamente strutturata, con un senso d’inquietudine e di catastrofe imminente, che spinge a sfogliare le pagine voracemente, fanno da contraltare le molte divagazioni del protagonista, mai dovute a un mero sfoggio intellettuale, ma circostanziate alle situazioni e ai ruoli; queste costringono a rallentare la lettura per comprendere e metabolizzare i concetti profondi sulle dinamiche interpersonali espressi da Marias, sempre con un tono riflessivo e mai saccente. È il caso, per esempio, del dialogo sull’amore - la gente ama perché la si obbliga ad amare - tra la statista inglese (che sarà riproposto anche da Berta e Bill) e l’alto funzionario spagnolo, o quello centrale a proposito della citazione shakespeariana del titolo.
Alla fine, dopo tanti presagi oscuri, dopo tanta incertezza è come se Yin e Yang tornassero in equilibrio. Non è detto che ci sia un happy ending, una fine non c’è. Semplicemente la vita dei personaggi va avanti, con tutto il carico di dubbi nei confronti del futuro che le persone reali hanno nella vita quotidiana. Se si chiude l’ultima pagina con un senso di amarezza e di sconfitta è perché viene il dubbio di essere noi lettori, personaggi di un libro. Che anche noi non stiamo recitando un copione già agito da altri?


Serena Giattina

giovedì 12 marzo 2015

Je suis Legà

Chiude La Padania - il quotidiano leghista spacciato né in edicola, né on line. 
Morto a 18 anni. 
Che farò ora sul treno durante quei dodici minuti che mi riportano a casa? Salvini dice che è tutta colpa di Renzi e del suo governo che taglia l'editoria. 
La sua strategia del bambole non c'è un euro mi ha proprio stufato. Un taglio qua e uno là, e così pareggi i tuoi di conti! Vallo a dire a tua sorella! Urlo mentre mi agito e decido cosa fare. 
Prendo il primo volo disponibile - tariffe basse con la Ryanair. Vengo lì. Ho imbarcato una cesoia che u 'zu Totò mi ha prestato, tanto non è tempo di tagliare pale di ficodindia. IO SONO INCAZZATA, un taglio netto pretendo!
Sono lì a Palazzo Montecitorio. Renzi ti ho trovato. Comincio a tirare, ti fazzu allungare i capiddi, che ancora dopo quarant'anni ti ritrovi in testa; mi aggrappo con tutta la forza: Ti faccio vedere le stelle a mezzogiorno.
Tiro fuori la cesoia e ti tagghiu tutto, i capiddi ciocca per ciocca, a uno a uno! Pelato ti voglio lasciare. Con 100 buchi sui vestiti! E ora comincio con le testate, tante, una per ogni testata giornalistica che chiude i battenti. 
IO RIVOGLIO IL GIORNALE! URLO, Voglio la mia libertà all'informazione.

Antonella Tarantino

mercoledì 11 marzo 2015

Letti per tutti: Un secco rifiuto


Sandro Camilleri, UN SECCO RIFIUTO

pagine 239, esterno cartoncino plastificato, interno carta riciclata, 
Stordito editore, 2015.



L’ultima fatica di Camilleri (Sandro, cugino più giovane di Andrea, ma non per questo meno degno di nota, n.d.a.) rievoca la giovinezza dell’ispettore Montalcino, un periodo in cui, non ancora protagonista popolare di una serie di libri gialli, raccoglieva rifiuti da parte delle ragazze che invitava a uscire.

Ma torniamo alla trama. Un pericoloso piromane vaga per la città appiccando fuoco ai cumuli d’immondizia abbandonati sui marciapiedi. Di questo fatto Montalcino si rammarica con il lettore, poi anche con l’autore (Camilleri, però Sandro) che ultimamente non lo tiene in considerazione e lo mette in mezzo a delle storie poco pulite.

Per amore di verità, corre obbligo riferire che la vera colpa di questo comportamento è dell’editore Carlo Stordito, un uomo che abbiamo imparato a conoscere insieme ai libri di Camilleri (sempre Sandro), erede di una stirpe di tipografi, amante delle polpette fritte e degli applausi al pilota all’atterraggio, un uomo che ha sposato il mestiere dell’editore con grande spirito di sacrificio, lo stesso sacrificio che pretende dai suoi uomini.

lunedì 9 marzo 2015

Ballerine in cavallino?


Bastano una borsa scarpe una montatura d'occhiali per esprimere chi sei
 new shoes et voilà tutto cambia, anche la nevrosi sparisce!

COSA METTIAMO NELL'ARMADIO
COME REINTERPRETIAMO QUELLO CHE GIA' POSSEDIAMO
QUALI SONO LE TENDENZE:

° Decolla lo stile delle hostess - anche se Ryanair non si è ancora aggiornata
° Blu tuareg spirituale intenso vibrante
° Stivali con cinghie - cappello da cowboy- collana con perline - stile on the road
° Women's liberation - ritorna un modo di essere libere emancipate (zoccoli stivali
   con inserti coroncina di fiori per una contestatrice wow)

Chanel manifesta per un nuovo femminismo e lo fa durante la sfilata pret-a-porter primavera estate
le incitazioni politiche  sono state decise mesi prima dello show e poi riportate sulle minaudiere in resina (pochette).

              DENIM E ANCORA DENIM è il trionfo dello "utility chic"

               Periodo blu ma anche rosa vermiglio burro

I PEZZI CULT

La sneaker Crystal o zebrata o con inserti blu e laminati
Il borsone con dettagli metallizzati
Le francesine Candies dei fratelli Rossetti
Sandalo flat
Ballerine in cavallino
Zainetto in pelle canvas nylon purchè sia zainetto


Peppa Modotti




domenica 8 marzo 2015

Je suis mimosa

Oggi 8 Marzo, decine e decine di messaggi che fanno gli auguri a tutte le donne. Sui cellulari, su facebook, in tv. - Buongiorno donna! Per te donna, mamma, moglie, figlia, amica. Auguri donna! Si ricordano di noi solo oggi. Esco a fare una passeggiata.
In ogni via, traversa, vicolo, in ogni angolo, anfratto, c'è una mimosa per me! Sono circondata! Sono infastidita da questi auguri profumati.
Centinaia di venditori ambulanti, fiorai per un giorno, un'infinità di mimose su banchetti di fortuna. Non li posso guardare!

giovedì 5 marzo 2015

Je suis Jésus

È recente la dichiarazione shock di Gesù Cristo. L’apparizione si è verificata nella prima mattinata di oggi. Erano le 7,30 a Roma quando un uomo sulla trentina dai lineamenti arabi, la barba lunga e una tunica trasandata è apparso contemporaneamente su tutti i monitor, televisori, computer e cartelloni pubblicitari, suscitando dapprima lo sgomento generale e il panico che si trattasse di un nuovo capo terrorista. Subito, però, sotto l’immagine dell’uomo è partito un inno melodioso e pacificante per quanti l’ascoltavano, poi l’uomo ha parlato con voce chiara e fluente nella lingua propria di ogni nazione in cui si è manifestato (fonti attendibili hanno riferito, dopo i controlli di rito, che l’uomo ha parlato simultaneamente in tutte le lingue del mondo). La redazione del nostro giornale ringrazia e saluta i fedeli lettori. Riportiamo di seguito il messaggio originale dell’uomo che dice di essere Cristo:
“Io sono Gesù Cristo. Non temete, non appartengo ad Al-Qaeda. Sono il figlio del dio cattolico. Ho deciso di mostrarmi perché sono stufo di voi. Di questo mondo. Mio padre ve l’ha messo in mano con le migliori intenzioni e voi l’avete rovinato. Voi politici mi fate proprio schifo, ma non siete voi il male peggiore. Chi vi butta addosso ogni colpa per scaricarsi la coscienza non è migliore di voi. Affatto. Dagli imprenditori ai clochard, dai delinquenti alle vittime, dai vecchi all’ultimo feto che deve ancora vedere la luce di questa terra, mi fate schifo tutti in egual misura. Nessuno si senta escluso. Mio padre vi ha dato uno dei migliori pianeti (perle ai porci, gli dissi allora, ma lui non mi ascoltò) e voi l’avete insozzato, deturpato. Non ho mai avuto fiducia in voi, specie da quando vi conobbi personalmente qualche migliaio di anni fa, e da allora avete fatto sempre peggio. Avevo una scommessa con dio, lui era convinto che vi sareste redenti entro oggi e così non è stato. Negli ultimi anni avete anzi accelerato nel vostro comportamento criminale e vile, peggio che in passato. Vengo dunque a comunicarvi che il vostro tempo è scaduto. Non affannatevi adesso, cercando di farmi cambiare idea. Non fate promesse mosse dalla paura, tanto non le manterrete. Stasera andate pure a letto come ogni sera. Semplicemente, domattina non vi sveglierete, o meglio, non ci sarà mattina. Non date vita a inutili scenate di panico e isteria. Avrei potuto evitare questo messaggio e spegnervi nell’ignoranza, ma non ho resistito alla tentazione della vostra ultima stupida moda, quella che portate avanti da qualche tempo in nome di una falsa solidarietà verso i vinti. Oggi ho vinto io e abbasso il sipario sul vostro banale teatrino con le parole che vi piacciono tanto: Je suis Jésus!”.

Serena Giattina

mercoledì 4 marzo 2015

Moving rocks


La Valle della Morte, la depressione più profonda degli Stati Uniti, un posticino davvero ospitale. Deserto californiano dal terreno brullo, arido d'estate e spazzato in inverno da venti che raggiungono i 145 km/h, per non parlare del ghiaccio che ricopre Racetrack Playa, antico lago ormai asciutto. Eppure i rangers fanno di tutto per dissuadere i turisti ad andarci e c'è chi è perfino disposto a ricreare quest'ambiente nella propria cucina, affascinato da un fenomeno unico al mondo e avvolto dal mistero: le pietre mobili.


Non stiamo parlando di sassolini ma di veri e propri massi, alcuni pesanti quanto un uomo, che se ne vanno a zonzo per il deserto lasciandosi dietro una scia di sabbia. Se vi doveste trovare da quelle parti evitate di utilizzarle come punto di riferimento. Le spiegazioni sono fra le più disparate: i più scettici dicono che non si muovono proprio, è solo qualche buontempone che se le và trascinando per gioco o per attirare turisti - a volte riescono a portarsi le più piccole come souvenir -, i più creduloni pensano ad un potere divino o agli alieni, gli scienziati si sono scervellati per anni. Anche la NASA, dotata dei marchingegni più sviluppati, ha avuto delle serie difficoltà. Dove però non sono arrivati gli strumenti è arrivato l'uomo, ed è bastato un contenitore Tupperware.
Il dottor Ralph Lorenz, scienziato planetario incaricato dalla NASA, nel 2006 allestì una stazione meteo nella Valle della Morte - dove le condizioni meteorologiche sono simili a quelle di Marte - e decise di tentare di scoprire il mistero. Dopo teorie basate su campi di forza e venti trasportatori che poco lo convincevano, si ricordò che in Artico i massi inglobati nel ghiaccio riescono a galleggiare. Prese allora una pietra, la congelò dentro un contenitore con dell'acqua a livello tale da farne sporgere una parte e poi la dispose a testa in giù in un vassoio con acqua e sabbia. La pietra riusciva a galleggiare e con un leggero soffio si muoveva, lasciando una scia sul fondo. Lo stesso avviene con le moving rocks inglobate nelle lastre di ghiaccio che si formano durante l'inverno a Racetrack Playa.
Qualunque sia il motivo, la Valle della Morte continua a regalare suggestioni.


Annalisa Balistreri

martedì 3 marzo 2015

JE SUIS HELG

Hanno arrestato Roberto Helg. Qualcuno ha detto che ha estorto denaro, una tangente da 100 mila euro, al pasticcere dell'aeroporto: questo non lo sa che se non fosse stato per Helg nessuno avrebbe mangiato cassate fuori da Palermo? 
Helg, il Presidente della Camera di Commercio di Palermo, e anche vicepresidente della Gesap, la società che gestisce l’aeroporto di Palermo. 
32.000 in contanti e 70.000 di assegni in bianco - signori miei, ha la casa pignorata!  E allora mischinieddu, che deve fare  un povero cristiano per tirare avanti?  
Io che sono di Palermo lo so che lui aveva dei negozi, che ha dovuto chiudere. So che ha dichiarato fallimento, che ha dovuto vendere tutti i piatti e le posate e i bicchieri che aveva. Solo una pignata si è messo da parte! E la pasta da calare gliel'ho portata io! Tempestina da fare in brodo (solo quella avevo nello stipetto, un poco smenzata ma buona), che ogni acqua leva siti! Ma non basta! Qualche mazzetta ci vuole ogni tanto, per comprare 'u parmiggiano (se la può mangiare squarata? il signore non vuole) L'HO FATTO PER BISOGNO, così ha detto!
E ora IO SONO INCAZZATA! 
Mi precipito all'aeroporto Falcone Borsellino, - ci vado col motore di mio fratello che faccio prima - e comincio una raccolta PRO HELG la chiamerò così! Vado in giro, mi rivolgo a tutte le compagnie aeree (se non pagano gli tolgo i sedili, gli smonto i motori), agli impiegati Gesap, chiedo soldi ai turisti. 
Voglio raccogliere 100 mila euro, la stessa cifra che gli hanno levato dalla tasca, che già se li era spesi.
E dopo che li ho raccolti, lo vado a trovare ai Paglierelli e gli porto una bella cassata, oppure i cannoli. Così si fa la bocca dolce, che questo che lo ha fatto incastrare, insieme alla bustarella manco un bignè gli portò.

Antonella Tarantino



lunedì 2 marzo 2015

Cotoletta alla marescialla

(Maresciallo François  Duca Di Villeroy 1644-1730)


In un paese non molto lontano da qui, tanto tempo fa, un vitello pascolava tra l'erba alta, e si scrollava di dosso un drappo bianco, mentre intorno si rinfrescava l'aria, dopo ore di ferro e fuoco. Non sapeva che quel giorno lui, proprio lui, stava partecipando ad un evento storico e il sapore del magatello, per merito suo e della fantasia di un maresciallo dell'esercito francese, sarebbe arrivato fino a noi.

Era il Primo anno del XVIII secolo e da quelle parti, in Italia, il Maresciallo François  Duca Di Villeroy era stato mandato da Luigi XIV, re di Francia, a far battaglia. Non importa che guerra o che bastione abbia conquistato, perchè il Maresciallo Di Villeroy di questa storia non è il valoroso eroe che tutti conosciamo, ma l'eroe del palato e della cucina, francese di nascita, ed Italiano di adozione. Innamorato della cucina, in Italia il giovane François si dedicava svogliatamente, anche se valorosamente, alle campagne d'invasione in nome del Re Sole. Si racconta che preferisse di gran lunga conquistare le colline piene di vigneti ed alberi da frutto, le baite di montagna dove ardeva un focolare gustoso di cibi antichi e succulenti che venivano dalla terra, piuttosto che asservire popolazioni ed acquisire territori alla Francia. I suoi diari riportano scarne descrizioni di battaglie ma vivide immagini di ricette carpite alle contadine. Pagine e pagine piene di salse e budini, arrosti e pastasciutte. Il Marchese di Villeroy era un uomo di alto lignaggio abituato alla sofisticata cucina Parigina, e le ricette contadine e veraci raccolte dal popolo, che gustava cos'ì com'erano, amava rielaborarle, progettando di riproporle a Parigi, per il piacere di una tavolata di sofisticati amici. La sua vera creatività, che lo portò tra le stelle più fulgide del cielo di Francia, si manifestò in questo, non certo sui campi di battaglia, dove per tirare un colpo di sciabola non ci voleva molta fantasia. Al Maresciallo capitò un giorno di assaggiare una cotoletta, detta "alla milanese". Pietanza prelibata e ricca, non certo contadina. Nelle campagne povere e desolate d'Italia, non era comune mangiare un piatto a base di carne, ed i buoi vivevano relativamente sereni, dediti tutt'al più ai lavori dei campi. A quell'epoca un bue per famiglia serviva per i campi, ed una mucca per il latte. Villeroy fu invitato da un signorotto locale, mentre si trovava in Italia per la guerra di successione spagnola, e fu organizzato per lui un banchetto ricchissimo. Il Marchese, buona forchetta, riempì piatti e piatti di prelibatezze e gustò tutto con piacere, ma quando gli fu presentata la cotoletta alla milanese le sue papille gustative andarono in tilt : il sapore di quella fettina fritta rimbalzava da una papilla all'altra  e segnava mille punti e bonus ad ogni contatto, come la pallina di un flipper. Solo che le esclamazioni di godimento di François Di Villeroy erano più forti delle sirene del Big Strike, mentre i suoi occhi lampegiavano e roteavano di piacere. Fu una folgorazione. Volle subito parlare con il cuoco e pretese di ottenere la ricetta, seduta stante. Passò la notte a rielaborare e complicare magistralmente quel piatto delizioso, ma in fondo semplice, e al sorgere del sole uscì per andare in battaglia, obbligato dal suo rango. Era svogliato, quando si accese la guerra in un campo vicino la città, e tutto il giorno scesero fendenti dalla sua spada, senza convinzione. Nemmeno si accorse di aver quasi soggiogato il nemico, tanto era col pensiero alla sua ricetta da completare. Mancava un tocco finale, qualcosa di geniale, il segreto dello Chef. Fu lì, sul finire della aspra disputa, che il Marchese ebbe una catarsi creativa,  mentre le ultime difese degli avversari venivano abbattute. Dal fondo del campo vide un vitello avanzare : gli avversari avevano mandato avanti la bandiera bianca, distesa sulla schiena dell'animale. Quando fu arrivato davanti al Maresciallo , sul prato, in mezzo alla battaglia, il quadrupede lo guardò negli occhi e lui pure lo guardò. Non sappiamo cosa vide e comprese il vitello,  ma il Villeroy vide e capì niente altro che la SUA cotoletta : una fettina di magatello di bovino, ricoperta da uno strato bianco che immaginò essere salsa bechamelle. Si, la cotoletta alla Villeroy venne concepita ideata immaginata in guerra, guardando una bestia coinvolta suo malgrado, mentre i proiettili sfrecciavano le baionette colpivano e gli uomini cadevano. François tornò al suo alloggio sentendosi davvero vittorioso, e non per la contesa. Sporco infangato e stanco, quella sera non scrisse sul suo diario alcun resoconto della battaglia, ma , in piena pagina, la ricetta della Cotoletta alla Villeroy, Maresciallo di Francia, come potete leggerla in ogni manuale di Alta Cucina, anche dei più recenti.



Dosi per 10 persone

20 Fettine di magatello (mezzo dito di spessore e larghe quanto un piattino da frutta)
Pangrattato 150 gr
Farina 400 gr
Formaggio grattugiato 100 gr
Uova 5
Burro 100 gr
Latte mezzo litro
Sale qb
Noce moscata qb
Olio d'oliva per friggere 1,5 litri

Con la farina, il burro ed il latte, preparate una salsa Bechamelle molto densa, insaporita con formaggio grattugiato e noce moscata qb. A fine cottura, stendete la salsa calda su un piano di marmo, livellatela con uno spessore di circa mezzo centimetro, e lasciatela raffreddare per circa 2 ore. Quando la salsa Bechamelle sarà diventata solida e fredda, tagliatela in fette proporzionate alle fettine di magatello che avete preparato, di modo che lo strato di bechamelle resti dentro il bordo della fettina, di almeno 0,25 cm per lato.
Adagiate una fettina di bechamelle sopra ogni fetta di magatello inumidita con acqua, affinchè aderisca bene. Passate ogni fettina nella farina, salata qb, poi nell' uovo intero, battuto e salato qb, ed infine nel pangrattato salato qb.
Quando avrete tutte le fettine pronte, Friggetele in abbondante olio d'oliva. Servire caldissime.

Monica Sapio