Visualizzazione post con etichetta guttuso. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta guttuso. Mostra tutti i post

lunedì 13 luglio 2015

Per dipingere ci vuole orecchio - Sez. Museo Guttuso

Renato in questo quatro ci mise un bordello di cose, anche il bordello, (non la pensione Bugané di Piazza Sant’Oliva in quel di Palermo vittima della legge Merlin), no, qui siamo addirittura ad Arles en Provence e tra i clienti possiamo notare nientedimeno ché il sig. Vangogghi, si proprio lui.

A quel tempo i luoghi di piacere erano in gran voga e un artista poteva trovarvi consolazione e ispirazione. Vincent si era stancato di stare da solo nella sua stanzetta giallo girasole, e di sbattere porte in faccia a chi bussava per vederla. Aveva bisogno di colore e di fimmine, - sappiamo tutti che era un pochino disturbato, forse che inalare la trementina può provocare giramenti di testa e allucinazioni, ma soprattutto lui era mezzo morto di fame ché i suoi quadri non li voleva comprare nessuno.

Renato da buon samaritano, gli fa questo regalo, lo dipinge fasciato come un uovo di Pasqua, e la sorpresa gliela fa trovare fuori dall'uovo: tutto quel ben di Dio di donne discinte e in pose inequivocabili.
Lui però vuole Rachel (anche lei signorina ammodo), per lei è disposto a tutto, e glielo vuole dimostrare, lo sciagurato si è, infatti, mozzato il lobo dell’orecchio sinistro, e lo ha avvolto come una sarda in un foglio di giornale. Inseguito da tutti i gatti, è corso al bordellò per portare il suo pegno d’amore a mo' di topo mostrato al padrone in segno di fedeltà.
Rachel si è nascosta dietro il paravento per non farsi vedere, e siamo sicuri che sia in preda a forti conati di vomito. – Chistu pazzo è? Ma come gli viene in mente di portarmi quella porcheria! Neanche se lo lavò l'orecchio e neppure lo depilò. Internatelo!
E più ci pensa e più si piega in due e i capelli le coprono la faccia che Renato non le pittò perché non stava bene mostrare una signorina in quello stato.
Qui accettiamo denaro, sghei, quattrini, - sta dicendo il gentil pappa, con camicia color rubino, all'infelice Vangogghi, ma questi rimane immobile come uno stoccafisso. Non ci sente, soprattutto da quell'orecchio che ormai non ha più.

Adele Musso

martedì 5 maggio 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: 'a Vucciria

In primis questo quatro è un quatro grande, e conviene taliarlo da lontano: senza mai dio si dovesse schiodare non lo so comu nni finisci.
Tanto tu non ci vedi, e pecciò picchì ti devi mettere vicino?
Ora ti dico quello che c’è pittato, però non è che è tantu facili: è un casino, c’è troppa vucciria!
Appizzato al gancio c’è un quartu sano sano di vacca.
Mischina tutto si ci vede: cairni, ficatu e carina. Un picciotto di chianchiere, che a taliallo bene bene non mi pare troppo spèrto, a vulissi fidduliare col coltello.
Ma capace che la carne non ti attira e macari un poco ti schifii?
Non c’è problema: là nfacci c’è una bella pescheria: pulpa, scuirmi, manciaracina, gamberoni e pisci i broru.
E’ tutto sdivacato sopra le balate, l’occhio è vivo e ancora satarìa: se suchi forte con il naso senti tutto il ciavoro del mare. L’unico che non si catamìa -pare che gli devono tirare una fotografia di come è ntamato- è il pisciaiolo, che fa finta di tranciare u piscispata: capaci che c’è a biunna i Linea Blu, che gira e firrìa è sempre ccà a mangiarsi le panelle con la scusa che è cultura, e lui tistìa, si sente tutto, picchì pensa che tutti i suoi parenti lo vedranno registrato.
Gli altri cristiani passano ncutti, le cascie sono assai e non c’è spazio: sono chine chine di aranci, di limoni e pomaroro; quanto costano c’è scritto nei pizzina, però dal quatro non si capisce niente, perché è scritto troppo nico,come al mercato quello vero.
Di altro che si può mangiare di verdura si vedono i cardoni, i fave, i finocchi e le alive cunsate, e se acchiani un altro poco sulla stratati puoi comprare pure formaggi o salsina, sasizza o murtatella.
Ora ti cuntu gli altri personaggi che si vedono nel quatro: c’è unu, ma accussì lariu -matri santa è vero e vero - che sta scendendo verso noi altri: ha un dolcevita giallo, ma caldo non ne sente. Le altre persone sono tutte sbrazzate e invece lui di sopra c’hapure la giacca di fustagno:sarà malato, hagli occhi tutti‘nfussati. E’ l’unico che non talìa niente di tutto quel manciare: la sola cosa che gli interessa è la bella signorina che gli sta venendo incontro. Noi a lei la vediamo di spalle, e anche di culo.
Ma a proposito: c’arrivasti tu a vederlo u culo della signorina?
No? Mi chi sfurtuna! Si vede che u Signuruzzu ti ha voluto castiare per qualche cosa ca facisti o che devi ancora fare!
Lo vuoi spiegato come sto facendo per il quatro? E come te lo spiego?Tu pensa a na cosa bella tunna, ma no sulu tunna: pensala pure liscia comu sita! A pinsasti? Ma veramente? Bih, chi fantasia!
Comunque, sta signorina sta portando i sacchetti della spisa, ma secondo me deve accattare ancora qualche cosa: basta ca non si ferma a parrare col picciotto malatizzu, piccarità, perché è veramente troppolario pi essiri normali!
Ah, mi stavo dimenticando delle lampade: ce ne sono tre, tutte addumate, che pinnuliano sopra il manciare. Si usa così:pure se è giorno pieno, tutto si deve illuminare!

Saranno lampeda cento, centocinquanta, forse anche di duecento: ma cu a paga sta currianti?

Giuseppe Pippo Visconti

lunedì 6 aprile 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: 8 ragazze per me, di Renato Guttuso




In questo quatro che voi non potete  vedere ci stanno delle donne nude. Sono  tinte, da colori vivaci.
Si stanno preparando per lui, per il loro pittore. Per me questo quatro Guttuso lo doveva intitolare 8 ragazze per me, posson bastare. Schifiu, una più porca dell'altra senza mutande e dignità; esporsi così, tutte spugghiate davanti a migliaia di gente che viene e che va.

giovedì 26 marzo 2015

Mimise


Ecco questo é il meraviglioso posto che mi hai riservato, peccato che sia minuscolo, lì all'estremo angolo, al buio vicino alla finestra spalancata, un invito ad andarmene! A mare, ad annegare magari.
Mi hai disegnata così lontana per nascondere gli affanni della vecchia, hummm che sei dolce, troppo gentile ricordamelo. 
Io, Mimise, tua moglie, io che ti sopporto da una vita tu che puzzi di fumo , alcool, con la casa sempre invasa di gente non si può mai stare tranquilla. 
Io, Mimise, tua moglie, mi sbatti così all'angolo con in primo piano le tue indecente patate, queste giunoni in posizione lascive, erotiche come parte della tua vita quotidiana. 
Mi hai nascosta lontana al tramonto dei tuoi pensieri dietro le orbite vuote di questo macabro cranio.

'a mmia.

Isabelle Herve

domenica 15 marzo 2015

L'arte spiegata ai non vedenti: le fimmine spugghiate di Guttuso


Guttuso vastaso, che cosa hai pittato? Con questo quatro hai fatto perdere la faccia al paese.
Che ora, quando vengono i forestieri a fare turismo a Bagheria, si immaginano di trovare le paesane spugghiate che gli fanno pigliare aria al parpaglio.
Botta di sale non ci bastavano i mostri, ora pure le fimmine spugghiate! Che uno che era inglese - ma per me era un ficarazzoto travestito - fermò a mia cugina Maria Assunta Crocifissa che è idda è casa e chiesa, neanche in putìa impinci (a quarantacinque anni è tutta intatta, sia davanti che di dietro), e questo filibustiere ci domanda tutto con l'accento straniero: listen signorina, listen, a che ora si spogghiano le women di Bagaria, sono arrivato troppo late?
Maria Assunta Croficissa se lo stava mangiando a stricasale, cornuto e babbione glielo fece fetere da tutti i lati. Che per poco intervenivano tutti i suoi fratelli e ci facevano la boccia. Lo avrebbero squartariato.
Noi, femmine di Bagheria, in questo quadro non ci riconosciamo per niente, noi abbiamo un'altra personalità. Diversa.
Intanto noi le minne così cadute non le abbiamo avute mai, le minne delle bariote sono tise, di marmo - i reggipetti ce li mettiamo per figura -credetemi, non ce fosse neanche di bisogno.
E poi questi gran culi sgummati, noi fimmine di Baaria tutto si ci può dire ma no che abbiamo il culo caduto che striscia per terra, per dire, quello delle mutande della via Mattarella, portò le mutande alla brasiliana, quelle che hanno l'elastico e sollevano il gluteo mollamoso: non ne ha venduto manco un paio, gliele ha aggirate sane sane al rappresentante. Questi sono articoli che da noi non vanno.
Ma poi, queste svergognate camminano nude casa casa, si desume che hanno le caldane, che sentono il bisogno di fare arieggiare la natura parpagliosa. Forse glielo consigliò il ginecologo.
A noi femmine di Bagheria, il ginecologo se ci vuole visitare si deve fare un'idea attraverso la gonna, la sottana e il cappotto, noi al ginecologo non abbiamo niente da fargli vedere. Se vuole, le tonsille.
E poi, se queste stanno nude, noi un pensiero lo abbiamo, non hanno quattro soldi per comprarsi la biancheria.
Noi femmine di Bagheria, e lo possiamo giurare, pure che non siamo sposate o ormai la congiuntura negativa è fatta di ragnatele e raggia, abbiamo sempre il corredo a sei a sei:
sei para di mutanne per uscire, in pizzo nero
sei para di mutanne per stare a casa, di cottonina bianca - per quei giorni
sei para di reggipetti, tre segsi e tre coprenti.
Che poi quando il pittore fa il quatro iddu pensa: chistu quatro buono per appizzarlo nella saletta vicino l'appendipanni, oppure pensa che il posto suo fosse nel salotto, o ancora ancora nella stanza di pranzo, ma un quatro di questo è solo adatto per una casa di riposo, che a li vicchiareddi ci scomparissero le cataratte all'improvviso (ma poi ci acchianasse la pressione e restassero tutti intostati).
Per tutte le cose che sono state dette, il Comitato delle femmine bagheresi con i polsi quanto un muratore, ha stabilito:
1. Questo quatro non ci rappresenta manco nella pilatura delle ascelle
2. Questo quatro è lario
3. Questo quatro distrae i nostri mariti
4. Manco i colori sono belli
5. Questo quatro l'hamu a livari. Chi lo vuole se lo può portare.

Giorgio D'Amato

martedì 23 dicembre 2014

L'arte spiegata ai non vedenti: I braccianti

Nella soffitta di mio suocero, guarda che ho trovato: un quadro con dedica “Al mio caro Giacomino Gagliardo con affetto Renato Guttuso”.
Aveva un Guttuso e lo mise in solaio, vai a capire gli uomini e le loro beghe familiari. Forse tutti i parenti lo volevano e allora per evitare crisi e liti, lo depositò in alto, dove occhi indiscreti non potevano arrivare. Ma i miei piedi sì.
Eccolo, caro Peppino, te lo voglio descrivere: inchiostro di china, bianco e nero solo una coppola e una maglietta fitusa sono rosse.
Nove cristiani, stanchi, assonnati sporchi e accaldati, già vecchi e rassegnati, si prendono una siesta dopo il lavoro pesante di raccolta di olive ottobrine. Tre mangiano, uno un pezzo di pane incrucculutu, gli altri due con il cucchiaio, che finesse, dei fagioli dal portapranzo preparato dalla moglie o dalla madre.
Ci sono pure le scale che portano proprio nel solaio dove ho trovato il quadro, segno che tra mio suocero e il pittore non ancora famoso e oggi quasi dimenticato assieme al suo museo, corresse un buon rapporto di amicizia, di affetto, di lavoro e rispetto.
Erano stati vicini di casa,compagni di scuola e raccoglitori di olive. Ecco l’arcano.
Ma mio suocero un pennello non lo prese mai in mano, Renato lo invitava , lo spronava a fare come lui. Ma niente, non lo persuase mai, lui leggeva L’Unità, coricato per terra ,forse quello del quadro. Non mangiava, non dormiva, non discuteva come gli altri, leggeva  e questo gli bastava. Fino a quando Renato si trasferì a Roma e lui cominciò  a fumare e a mangiare , fino a diventare centoventi chili, altro che “Giacomino”.
A me questo quadro piace: piccolo, storico, non datato, riempie un angolo della parete di ricordi démodés, due cavalli di mia cognata, un gruppo femminile di mio fratello, la ricerca dell’origine del cognome, con relativi stemmi e quattro paesaggi siciliani raccolti tra una gita e l’altra in questa terra di artisti e sognatori, di emigranti e immigrati. Clandestina e irrispettosa, forse anche affettuosa. 
Forse.



Maria Letizia Mineo