Nella soffitta di mio suocero, guarda che ho trovato: un
quadro con dedica “Al mio caro Giacomino Gagliardo con affetto Renato Guttuso”.
Aveva un Guttuso e lo mise in solaio, vai a capire gli uomini
e le loro beghe familiari. Forse tutti i parenti lo volevano e allora per
evitare crisi e liti, lo depositò in alto, dove occhi indiscreti non potevano
arrivare. Ma i miei piedi sì.
Eccolo, caro Peppino, te lo voglio descrivere: inchiostro di
china, bianco e nero solo una coppola e una maglietta fitusa sono rosse.
Nove cristiani, stanchi, assonnati sporchi e accaldati, già
vecchi e rassegnati, si prendono una siesta dopo il lavoro pesante di raccolta
di olive ottobrine. Tre mangiano, uno un pezzo di pane incrucculutu, gli altri
due con il cucchiaio, che finesse, dei fagioli dal portapranzo preparato dalla
moglie o dalla madre.
Ci sono pure le scale che portano proprio nel solaio dove ho
trovato il quadro, segno che tra mio suocero e il pittore non ancora famoso e
oggi quasi dimenticato assieme al suo museo, corresse un buon rapporto di
amicizia, di affetto, di lavoro e rispetto.
Erano stati vicini di casa,compagni di scuola e raccoglitori
di olive. Ecco l’arcano.
Ma mio suocero un pennello non lo prese mai in mano, Renato
lo invitava , lo spronava a fare come lui. Ma niente, non lo persuase mai, lui
leggeva L’Unità, coricato per terra ,forse quello del quadro. Non mangiava, non
dormiva, non discuteva come gli altri, leggeva
e questo gli bastava. Fino a quando Renato si trasferì a Roma e lui
cominciò a fumare e a mangiare , fino a
diventare centoventi chili, altro che “Giacomino”.
A me questo quadro piace: piccolo, storico, non datato,
riempie un angolo della parete di ricordi démodés, due cavalli di mia cognata,
un gruppo femminile di mio fratello, la ricerca dell’origine del cognome, con
relativi stemmi e quattro paesaggi siciliani raccolti tra una gita e l’altra in
questa terra di artisti e sognatori, di emigranti e immigrati. Clandestina e
irrispettosa, forse anche affettuosa.
Forse.
Forse.
Maria Letizia Mineo