IL CUSCINO
DELLA SUOCERA
pagine 247, brossura succulenta
Stordito editore, 2015.
L’ultima fatica di Sandro
Camilleri (cugino minore di Andrea, dedito alla scrittura di libri gialli noir
di discreto successo tra i suoi lettori, n.d.a.) ci porta a vagare per la città insieme all’ispettore
Montalcino alla ricerca di un panificio ancora aperto.
Sono le otto di sera e il motivo di questo vagare disperato sono i carciofini sott’olio, Montalcino li ha presi nella
pizzicheria sotto casa, ma ha dimenticato di comprare anche il pane. L’ora è
tarda, i negozi del centro sono tutti chiusi. Camilleri (però Sandro) non
immagina come questo possa essere successo, visto che lui è l’autore, quindi
responsabile del sostentamento dei personaggi, vitto e alloggio, decide gli
orari i fatti omicidi suicidi domande risposte, tutto.
Comunque, l’ispettore
Montalcino si ritrova senza pane con questo vasetto di carciofini in una
borsina della pizzicheria, di quelle biodegradabili che fanno un odore
tremendo, ha la nausea, lancia due tre smadonnamenti in direzione
nord-nordovest, che lì pensa ci sia la scrivania di Camilleri (sempre Sandro,
impegnato a cercare una soluzione per risolvere l’impasse).
Appena svoltato l’angolo di
un isolato, Montalcino s’imbatte in un crocchio di persone con le mani sulla
testa, chi si tiene la fronte, chi si strappa i capelli, chi si arricciola i
ricci, chi si ripara da oggetti che potrebbero cadere dall’alto.
Quello che Sandro Camilleri
(il cugino) non ha ancora detto è che si tratta di una serata molto ventosa, lo
scirocco solleva i cartoni vuoti lasciati dai negozianti dopo la chiusura e le
tende sbattono forte.
Dalla terrazza di una
palazzina è volato giù il vaso di un grosso cactus che ha colpito sulla
fontanella la testa di un passante, lasciandolo a terra, secco. È una scena
pietosa, tutta questa terra sparsa sul marciapiede, quell’essere vivente che un
minuto prima si faceva i fatti suoi, la sua vita tranquilla, adesso malamente adagiato
in una posa innaturale, circondato dai cocci del vaso di terracotta. Quel
signore sconosciuto invece, disteso accanto al cactus, si è visto subito che
per lui non c’è più nulla da fare, molti si adoperano per recuperare il
possibile, cercano di raccogliere la terra i cocci, ma è estremamente rischioso
anche solo pensare di toccare e rimettere in piedi il vegetale. Proprio in
questo momento spunta l’ispettore Montalcino, vuoi perché non ha ancora trovato
il panificio aperto, vuoi perché Camilleri (Sandro, se non fosse ancora chiaro)
non ha trovato nessun altro disponibile.
La questione è spinosa,
Montalcino si mette all’opera con il solito piglio professionale, prima di
tutto interroga i venti presenti sull’accaduto per farsi un’idea, deduce che
almeno uno di essi - tale Salvino Scirocco - ha una qualche responsabilità sulla caduta del vaso. La
maggior parte dei testimoni dichiara che era presente, molti concordano sul
fatto che un cactus impiega almeno cinquanta anni per crescere fino a quelle
dimensioni, con tutte le spine, è anche sfortunato che non ha le foglie, un
vero peccato che ora per colpa di un colpo di vento, questo crescere, questo
germogliare, radici fiori potatura innesti eccetera, insomma tutto quanto vanificato.
Apriamo una parentesi (Camilleri,
Sandro però, non s’intende quasi per niente di botanica, quel poco che scrive
sui cactus lo sa per sentito dire, quindi si ha l’impressione che in queste
pagine stia arrancando un poco, chiusa la parentesi).
Il guaio principale da
risolvere è prendere in mano la palla spinosa e rimetterla a dimora in un vaso
nuovo prima che sia troppo tardi e le radici si asciughino.
L’ispettore Montalcino, a
detta di tutti i presenti, è l’unico in grado di risolvere il caso, infatti si
concede altre due pagine di bestemmie, poi poggia sul marciapiede la borsa
della spesa, si avvicina alla pianta agonizzante e fa quello che deve fare.
C’è da aggiungere che
l’editore Stordito, di cui ancora non abbiamo fatto cenno e che ringraziamo per
l’originalità con cui sceglie i titoli, ha la sua parte di responsabilità in
questa faccenda. Discendente da un’antica famiglia di stampatori/imbianchini,
estimatore delle polpette di asparagi, cultore dell’oggettistica in peltro,
Pietro Stordito è uno di quegli editori di cui non si può non parlare. Di lui
Camilleri (Sandro, beninteso) ci racconta poco e malvolentieri – per amore di
riservatezza, crediamo – ma in questo caso ci regala una notizia inaspettata:
da poco tempo l’editore ha fatto pace con la suocera, vecchia vipera con la
quale non è andato mai d’accordo sin dai tempi del fidanzamento. Per sugellare
la ritrovata armonia familiare, Stordito ha pensato di regalarle un cactus
“cuscino di suocera” di una cinquantina d’anni, una pianta simbolo, con le sue
belle spine in fila. La suocera non sappiamo quanto abbia apprezzato il regalo,
ma almeno non l’ha buttato via, anzi lo ha sistemato nell’angolo più esterno
della terrazza, per farlo vedere a tutti, dice lui, per non vederlo più, dice
Camilleri (però Sandro).
Ed è successo il guaio, la vecchia
abita proprio nella palazzina luogo del fattaccio, almeno così dice l’autore.
La vittima perisce, la suocera non capisce, Montalcino inveisce, maledice se
stesso l’autore l’editore e il destino porco che lo perseguita, per non essersi
ricordato di prendere la borsina della pizzicheria con il suo vasetto di
carciofini sott’olio.
Vorrebbe tornare sui suoi
passi, ma giunge inaspettata la parola fine, testimoni e vittima si ritirano
nelle loro case, al riparo dal vento insidioso, noi restiamo immobili sulle
spine, in attesa della prossima fatica di Camilleri (sempre Sandro).
Raimondo Quagliana per AAS Magazine