Tutto è pieno. La sala è piena, il crocifisso è al muro e un santo sporge il viso. Mi guardo intorno e dico minchia, saranno mille. Poi li abbiamo contati: erano mille. C’è chi ha il muso schiacciato, qualcuno mi ha ricordato gli anni ’70. Altri, i fedelissimi, sono eccitati all’idea di potere incontrare il loro salvatore. La sala è stretta, le gambe mi passano vicino e il mio disagio aumenta. Sono io e sono i miei amici che ci sentiamo piangere addosso. La presentazione inizia: applausi.
Totò, ti vogliamo bene! Totò, Totò, Totò!
Nomi come Pietrangelo Buttafuoco, Renato Schifani, Saverio Romano. Mi sento dritto. Un’analisi superficiale degli avvenimenti dimostrerebbe che Totò Cuffaro abbia scontato gli anni del carcere con assoluta sincerità. Dovevate vederlo, mentre i settantenni di sotto applaudivano e la Sicilia esplodeva.
Totò ci sei mancato!
Dio spacca le anime e le divide a metà: le carceri italiane sono posti in cui ognuno di noi dovrebbe soggiornare per un po’. Sodoma, ormai, è solo un ricordo. Vorrei essere più spontaneo e dedicarmi ad un’analisi critica ed equilibrata di questa spettacolare performance teatrale. Le nostre anime, quelle dei malpensanti, verranno sventrate dalla sfiducia e dall’odio per coloro che invece si pentono.
Hai visto? Una bella rimpatriata, tutti amici siamo.
Peppa Pig e George Orwell? Ve le spiego io le convergenze: ne La fattoria degli animali, i porci sono troppo uguali tra di loro. Nella realtà, però, esistono eccezioni. Ho una gran voglia di accendere una sigaretta e gettare fumo e catrame. Un signore alla mia destra vuole sapere per quale giornale scrivo. Blog letterario. Che cosa potrei dire? La letteratura, in quella enorme stanza, non esiste. Si va incontro alla giustizia con le proprie gambe, e la pretesa dell’innocenza è più forte delle colpe. Lui è la mafia buona, quella delle cartolarizzazioni che non fanno male a nessuno.
Totò, vengo con te in Burundi, ti voglio bene!
Marmo. Le statue, gli imperatori, le dominazioni, la clientela, la miscredenza, le targhe commemorative. In mezzo alla folla mi sento unico, un pezzo di marmo a cui nessun tipo di cemento può tendere la mano. I profumi bisbigliano, e Totò alza la voce: Poi sono uscito e ho scoperto che il verso della mia storia non è quella che hanno scritto le sentenze, e il verso della storia di un uomo non può essere scritta soltanto nelle sentenze di un tribunale. Il verso della mia storia io l’ho incontrato nei vostri occhi, nei vostri cuori e nei vostri sorrisi. Sono stato un re perché voi mi avevate fatto credere che fossi un re.
La storia è una ricca palla piena di brufoli e buchi neri. La fortuna, a volte, imprime alla società civile una spinta che gli uomini e le donne di questo pianeta non possono ignorare. La mafia, come la vita, si ciba di morte. L’esistenza di Cosa nostra (lo dico io, perché nessuno lì l’ha detto) è fatto ormai noto. Questa terra desolata (e la città irreale che si porta dietro) regge il peso - con decadenza e disastro - delle ombre che brancolano nel buio e accettano gli omicidi.
La mafia, e adesso lo sappiamo, possiede i microfoni.
Totò, Totò, vieni qua, fatti abbracciare.