C'è un tempo per affannarsi, indotte chiare
esigenze a muovere braccia, piedi e
gambe, a urlare per comunicare l'urgenza, la necessità dei volti di chi prende
la Via del Mare, dopo aver atteso, derubato di ogni avere, e della dignità.
L'urgenza di sollevarli dall'acqua, ancora sopravvissuti, forse, ancora per un
po', se non sei pronto. In quel gesto che non mediti si innesta tutta la
misericordia. Non la pensi e l'incarni.
C'è un tempo poi in cui l'onda ferma scivola via, verso la fine del Mediterraneo
che possiede di là rive ricche di sabbia e scogliere ferme al centro di azzurri
cristallini, e il sapore salato delle lacrime percorre la rotta che origina da quelle rive. Non hanno colori, si sporcano le acque dell'inchiostro
della piovra nera che inghiotte vite. Allarga i tentacoli nelle notti e arriva.
Ha il volto dei fuochi che bruciano nelle stive, liquefà la pelle, soffoca
polmoni, schiaccia ossa, orbite, gole. Sono i cimiteri del mare le
stive pigiate di chi non arriverà mai. I cimiteri da cui scappano, hanno
camminato il deserto, i loro piedi di polvere, imbiancati lungo la strada,
hanno lasciato la terra bianca o rossa, soffocato e succhiato il loro sangue,
la stessa lo assorbe avida. Non finirà
mai, mai.
Lo strazio di quegli occhi non finirà mai. Intanto si innalzano
nuovi alti muri.
Clotilde Alizzi