martedì 26 gennaio 2016

La settimana bianca, E. Carrère




Davvero gli adulti ricordano com’erano da bambini? La memoria cresce insieme a noi, deforma, minimizza o amplifica le sensazioni che vivevamo a nove anni. Grazie a Nicolas torniamo a vedere la realtà esattamente con gli occhi di quando eravamo piccoli, il mondo si muove secondo una logica diversa, dinamiche apparentemente semplici fanno scaturire ansie e batticuore o, al contrario, fatti morbosi vengono riportati su un livello di comprensione autoreferenziale. Il senso di colpa di un bambino, dovuto alla sua visione egocentrica del mondo – che ha motivo di esistere in relazione solo e soltanto al suo sentire -. La vita edulcorata dalla fantasia di un novenne normale, sebbene abbia tutte le ragioni di sentirsi diverso dagli altri (coetanei e non), è sempre meno orribile di quanto non sia secondo la verità adulta e Carrère riesce a condensare questi concetti duri in un romanzo breve, a dimostrazione del fatto che la grandiosità di un’opera non si misura in numeri sfarzosi e che troppe parole servono solo a soddisfare bisogni effimeri. Niente didascalismi, dunque, rimandi secchi che fanno l’occhiolino al lettore, dal quale si pretende sveltezza d’intelletto e al quale si offre, in cambio, la libertà di chiudere il cerchio.


In seguito Nicolas cercò a lungo, ancora oggi, di ricordarsi le ultime parole che gli aveva rivolto suo padre. L’aveva salutato sulla porta dello chalet, gli aveva nuovamente raccomandato di fare attenzione, ma Nicolas era così imbarazzato dalla sua presenza, così ansioso di vederlo andar via che non era stato a sentire. Non gli perdonava di essere lì, di attirare sguardi che immaginava ironici, e si era sottratto al suo bacio chinando la testa. Nell’intimità familiare non l’avrebbe passata liscia, ma sapeva che così, davanti a tutti, non avrebbe osato rimproverarlo. 

Serena Giattina