Sandro Camilleri
LECCARSI I DITI, UNO SÌ
UNO NO
pagine 111, brossura dispari,
Stordito
editore, 2016.
Di tutte le bizzarrie letterarie a cui ci
ha abituati, questa ultima fatica di Camilleri (Sandro, cugino bizzarro che
continua nonostante tutto a scrivere e pubblicare i suoi libri bizzarri, n.d.r.)
raggiunge uno dei suoi picchi più alti.
Come lettori ci si trova spiazzati di
fronte a un libro composto da sole pagine dispari, e già dal titolo Leccarsi i diti, uno sì uno no avremmo
dovuto intuirlo. Il coraggio di rompere gli schemi (e non solo) dell’editoria
convenzionale, di lasciare liberi i cavalli della fantasia, non si capisce
quanto intenzionalmente, destabilizzando chi legge chi stampa chi scrive, ha
fatto di Camilleri (però Sandro) e del suo editore Stordito due figure
imprescindibili dal panorama editoriale dell’editoria panoramica.
Detto per inciso, l’editore Pietro
Stordito, ultimo di sedici rampolli di una famiglia di caratteristi, cresciuto a
pantone e fotolito, estimatore sfegatato del fegato alla veneziana e degli
accendini a gas di forma inconsueta, si è trovato più volte quasi a superare
l’autore nell’originalità delle soluzioni tipografiche, sfiorando il rischio di
rendere inutile la figura stessa di Camilleri (sempre Sandro), ma veniamo ai fatti.
L’ispettore Montalcino si ritrova faccia
a faccia con un ex-ladro che ha fatto arrestare qualche anno prima.
S’incontrano in un piccolo bar alla periferia di una cittadina di provincia,
non importa quale. Camilleri (Sandro, il cugino) quasi mai si dilunga in
dettagli geografici, tende anzi alla vaghezza topografica con l’intento,
riteniamo, di lasciare al lettore un ampio margine di collocazione della
vicenda, come viene più comodo, in base al proprio luogo di residenza e alle
proprie preferenze di geografia. Ma torniamo alla storia.
L’incontro dell’ispettore Montalcino con
l’ex-galeotto dentro il piccolo bar non sembrerebbe l’evento chiave di tutto il
libro, e purtroppo il salto delle pagine pari permette di seguire il filo della
vicenda utilizzando soltanto la metà degli indizi e dei personaggi. Camilleri (stiamo
parlando di Sandro) si ostina a parlare più volte di questo incontro, con il
rischio di apparire stucchevole, come se si trattasse di un fatto fondamentale,
ci ritorna sopra, descrive la scena nei dettagli, quasi a volerci indicare una
stranezza nascosta.
Dopo la prima metà del libro e almeno una
decina di incontri al bar tra l’ispettore Montalcino e l’ex-delinquente, si scopre
l’intoppo. Un errore di rilegatura ha ripetuto in sequenza lo stesso dodicesimo
causando un loop che si risolve solo alla fine del libro. E qui si rivela il
genio dell’autore e la storia acquista mistero: se non ci fosse stato l’errore
cosa sarebbe accaduto all’ispettore? E cosa all’ex-assassino? E il bar avrebbe
avuto un ruolo nella trama o avrebbe chiuso la saracinesca alle ventitrè come
tutti i bar di provincia? Sia lode al dubbio, e in questo caso il dubbio non
trova una risposta.
Camilleri (Sandro) continua a lasciarci
sospesi sullo spartitraffico, all’aria fresca, i cavalli iniziano a pascolare e
brucare l’erba alta con svogliatezza, si vede che hanno già la pancia piena.
Raimondo
Quagliana per AAS magazine