Immaginate di essere catapultati in Scozia. Ora provate ad immaginare di fare parte di un gruppo di balordi che identificano le droghe pesanti e l’alcool come eterne amicizie con cui fare lunghe chiaccherate. Welsh, in questo capolavoro di tristezza e verità di periferia, sa bene cosa voglia dire dipendere da qualcuno (o da qualcosa). Il linguaggio scurrile e a volte così perverso da poter provare piacere, diventa estensione di una visione materialistica e sfatta di un’umanità ridotta a dover consumare orgasmi artificiali. L’attenzione data all’introspezione dei personaggi è notevole, e il punto di vista cambia utilizzando un espediente letterario che saltella da un posto all’altro. E’ la volta di Spud, che proviene (come il resto del gruppo) da uno dei quartieri più degradati di Edimburgo: Leith. Le strade diventano chiassose quando Begbie spacca un bicchiere di vetro in testa “ad un povero coglione che non c’entrava un cazzo”. Sick Boy mette al centro della sua carriera il sesso e l’anfe: qualche volta, però, si diverte a fare il pappone. E Renton? Il più incasinato. La sua quotidianità subisce eccitazioni e cali, a seconda della quantità di ero che si schiaffa in vena. Il libro, più che una grottesca rappresentazione inverosimile, è una storia condivisa in un periodo storico compreso tra gli anni ’70 e gli anni ’80, dove la rivoluzione punk fa da protagonista. Leith Walk adesso è vuota. Sono tutti spariti, ma poco si può svelare. E così, tra le squadre calcistiche e gli effetti della gentrificazione, anche Welsh si rende protagonista di questa grande storia raccogliendo un pensiero mistico e a volte pesantemente sadico dei luoghi e delle droghe che fecero parte della sua giovinezza.
“Comincio a cucinarmi un’altra dose. Tengo il cucchiaino sospeso sopra la candela con la mano che mi trema, aspettando che la droga si dissolva, e penso: ancora una volta, prima il mare poi il veleno. Però non è che questo mi impedisca di fare quel che devo fare.”
Emanuele Scaduto