Sandro Camilleri, VIRGOLE A COLAZIONE
pagine 211, senza fissa brossura,
Stordito editore, 2015
L'ultima fatica di Sandro Camilleri
(stiamo parlando del cugino meno conosciuto dai più, ma in compenso molto
conosciuto tra i meno), una storia piena di virgole, tante virgole, che ne
bastavano la metà, quando si dice lo spreco, così tante virgole che si sarebbe
potuto scrivere un altro libro, con quelle virgole. Detto questo, c’è da
precisare che un libro non si può comporre soltanto di virgole, pur essendo a
corto di argomenti. Il nostro Camilleri (sempre Sandro) dopo l’uscita del suo
venticinquesimo capitolo della saga dell’ispettore Montalcino, sta
attraversando un periodo di crisi ispiratoria - non sappiamo se dovuta
all’eccesso di fumo o cos’altro - e ci chiediamo quale genio di editor gli abbia consigliato, di
iniziare intanto, a mettere delle virgole, poi si vedrà. Scorgiamo, forse, in tale
comportamento sconsiderato lo zampino sporco di marmellata dell’editore
Stordito. Pietro Stordito, editore storico di Sandro Camilleri (il cugino),
ultimo erede di una famiglia di stampatori tipografi, malcelatamente
incompetenti in fatto di libri gialli noir, amante compulsivo delle cappelle di
funghi alla griglia e degli oggetti scolpiti in pietra saponaria – se ne
realizzano di bellissimi, dice, su alcune isole dell’oceano Indiano.
Sfogliando questo libro, siamo portati
a credere che un consiglio spassionato, magari detto durante un’apericena,
abbia spinto l’autore a intraprendere la stesura del testo in questione senza
avere ancora la minima idea di un soggetto e senza valutare fino in fondo le
ripercussioni sulla grammatica.
Una tale abbondanza, di virgole, ma
proprio tante, spezza il filo, del discorso, in tanti frammenti, la mente, del
lettore si confonde, gli indizi si disperdono.
E non abbiamo ancora accennato alla
trama.
L’inizio di tutto si affaccia dopo aver
superato la pagina trentasette, ben duecentoquarantatré virgole (le abbiamo
contate), e districandosi tra le virgole, l’ispettore Montalcino si trova a
indagare sulla morte misteriosa di un cane barbone che, rimasto senza dimora,
da tempo si era stabilito nella sua automobile. Il fatto di scoprire un barbone
che ti dorme in macchina, per chi lo abbia provato, fa sentire il proprietario
defraudato di un qualche diritto alla privacy, non tanto per il fatto che ha il
posto occupato abusivamente (in fondo si tratta solo della notte), quanto per
il sottile odorino di puzza di barbone cane bagnato che rimane all’interno
dell’abitacolo, e non ci si può fare niente, neanche con l’arbremagique.
Dunque, il cane, sfuggito all’assedio
delle virgole, che abitava nell’automobile dell’ispettore Montalcino, viene
ritrovato cadavere, per fortuna fuori dall’auto.
Ci sono diversi sospettati, tra cui lo
stesso ispettore, questo complica maledettamente le cose, proprio lui che
non farebbe male a una mosca, figuriamoci a un cane, quantunque barbone.
Per farla breve, in una selva di
virgole e virgolettati, Camilleri (Sandro, però) ci spiega che il problema
principale in questa indagine è procedere con gli interrogatori dei testimoni,
soprattutto dell’ispettore, che non ha nessuna intenzione di farsi delle
domande e darsi delle risposte, odia Marzullo.
È necessaria una svolta, e Sandro
Camilleri con la sua ironia consueta la trova dietro l‘angolo della via in cui è
parcheggiata l’automobile. Si tratta di un obbligo di svolta a destra che
costringe tutti gli automobilisti ad aggirare la palazzina, percorrere il
perimetro dell’isolato, passare davanti al luogo del delitto per poi riprendere
la strada originale appena venti metri dopo il portone d’ingresso.
Questo fatto introduce un elemento
nuovo nella storia, puntando una luce su tutti i possibili canicidi,
praticamente tutti coloro che transitano. In effetti, e questo Camilleri
(sempre Sandro) ha trascurato di dirlo, la vittima, cioè il cane, barbone,
risulta deceduto a causa di un investimento da parte di un’automobile di
passaggio. Questo scagiona completamente l’ispettore Montalcino il quale
s’incazza come una bestia con l’autore, visto che avrebbe potuto dirglielo
prima, magari in confidenza, prima di iniziare a scrivere la storia.
In conclusione si crea un’enorme ressa
di fronte al portone della questura, tutti quelli che sono chiamati a
testimoniare o sono sottoposti a inutile interrogatorio si affollano - e non
c’è nemmeno il numerino per il turno, si fa fatica a contenere la folla.
Sarà il caso di chiuderla qui, anche se
qualche pagina prima della fine. Un’ultima spruzzata di virgole preannuncia il
finale che tutti si aspettano. La storia e la fine triste di un barbone,
quantunque cane, non ha la stessa attrattiva di una gita con il morto o di uno
strangolamento d’onore.
L’ispettore Montalcino un po’ se ne
rammarica e un po’ se ne vergogna, abbiamo la sensazione che non sia pienamente
soddisfatto del proprio autore (che poi sarebbe Sandro Camilleri, cioè il
cugino).
Anche noi ce ne rammarichiamo e non
possiamo fare a meno di aspettare la prossima fatica letteraria di Camilleri
(però Sandro).
Raimondo Quagliana per AAS Magazine