“Uomini,
perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto”
Il 1991 vede
l’uscita di questo romanzo. Ed è subito polemica, si grida alla blasfemia di
Saramago. Quella dello scrittore portoghese è una scelta delicata: scrivere un
romanzo che ha per protagonista il figlio del Dio cattolico da un punto di
vista tutto umano e usando come fonti non solo i vangeli canonici, ma anche
quelli apocrifi, non poteva che far piovere condanne da ogni dove. Ma andiamo
per gradi. Il libro narra le vicende arcinote della vita di Cristo, ma non
credo che l’argomento centrale sia quello che si può trovare sfogliando testi
storici e saggi in merito. È un romanzo che usa e rimaneggia i personaggi
biblici per dire altro.
La storia
raccontata comincia prima della nascita del protagonista. Saramago ci fa calare
nella Palestina del primo secolo, riesce a portare il lettore in un preciso
periodo storico attraverso la descrizione puntuale dei luoghi, con i paesaggi
rocciosi o desertici che richiamano all’interiorità dei personaggi; della
società, scandita dai rituali religiosi cui sono fortissimamente ancorati gli
uomini; del ruolo riservato alle donne, relegate ai margini degli scambi
sociali- nelle carovane, il gruppo delle donne cammina più indietro rispetto
agli uomini- e privati – ai pasti, la moglie serve il marito e aspetta che lui
finisca di mangiare per poi sedersi e cibarsi a sua volta - e temute per la
loro presunta familiarità col demonio (anche per costituzione fisiologica, la
sessualità femminile è un mistero diabolico). Da subito sembra di stare in
mezzo alle pagine del libro e di poter comprendere i meccanismi mentali di
un’epoca tanto lontana dalla nostra nel tempo e nella logica.
Il libro si apre
sulla descrizione di un quadro, la crocifissione di Cristo. In poche pagine
Saramago dà un assaggio di quello che sarà l’intero romanzo: non è uno storico
dell’arte a illustrare le immagini, ma un uomo che vedendo i personaggi li
descrive in base a ciò che gli rimandano i suoi occhi oltre alle sue conoscenze
religiose – i santi si riconoscono dall’aureola; a cingere la testa di Cristo
una corona di spine, “come ce l’hanno, senza saperlo, anche quando non
sanguinano all’esterno del corpo, quegli uomini cui non è permesso di essere re
di se stessi” -. I dubbi sulla veridicità di quanto sappiamo dai vangeli
tradizionali, Saramago lo insinua subito: nel quadro, Maria Maddalena potrebbe
essere la donna più scollata oppure quella bionda, visto che all’epoca si
credeva che il biondo fosse indice di tentazione; il soldato che offre la
mistura di acqua e aceto sarà biblicamente accusato di avere inferto l’ultimo
sfregio a Gesù, quando il gesto avrebbe potuto essere pietoso, considerato che
la mistura in questione è un ottimo rimedio per l’arsura. Questi sono solo
pochi esempi che dovrebbero già indurre anche il lettore più irrigidito nella
tradizione cattolica a porsi delle domande.
Per la cultura
dell’epoca narrata, non è straordinario che Maria riceva la visita
soprannaturale dell’angelo, che si presenta sotto le spoglie di un mendicante a
comunicarle la nascita di Gesù. Il motivo per cui la donna ne resta turbata
sembra piuttosto il dubbio che l’angelo le insinua per il fatto di avere
indovinato il suo stato interessante a discapito di Giuseppe, che in quanto
marito avrebbe dovuto capirlo da sé.
Il personaggio
di Giuseppe non ha le virtù che gli si attribuiscono biblicamente: qui è un
giovane falegname senza grande inclinazione e merito nel suo lavoro, che non
gode di grande stima da parte degli altri uomini perché non è dotato nemmeno di
acume, ingegno o dialettica. Un uomo qualunque, insomma. La sua paternità sarà
maledetta da un incubo ricorrente, dovuto alla strage degli innocenti. Qui la
vicenda della “sacra” famiglia s’intreccia con la storia del re Erode, altro
personaggio superstizioso che decide le sorti del suo popolo in base a sogni,
scaramanzie e rituali. “Le colpe dei padri ricadranno sui figli”ecco perché
vedremo, più in là nella storia, l’incubo di Giuseppe tormentare anche Gesù,
così come vedremo che a entrambi, forse per lo stesso motivo, Saramago dedica
la stessa sorte: morire in croce, il primo per un errore umano, l’altro per un
errore divino. Giuseppe aveva cominciato ad avere il suo incubo alla nascita di
Gesù, per il senso di colpa di non avere impedito l’uccisione dei bambini di
Betlemme, Gesù lo erediterà alla morte del padre.
Dopo la morte di Giuseppe, un evento
straziante per la donna che si ritrova a dover tirare su nove figli da sola e
senza altro introito economico che non i pochi proventi dovuti alla cardatura
della lana, Maria si vedrà abbandonare anche dal primogenito. Saramago
ricontestualizza alcune frasi famose in certi passi biblici in altri periodi:
non sulla croce, ma quando scopre la colpa di Giuseppe, Gesù grida al cielo
“padre, padre mio, perché mi hai abbandonato?”.
Il sentimento di
Gesù verso Maria è di odio e amore. Con i giudizi trancianti e assoluti propri
dell’adolescenza, il ragazzino condanna la madre tanto quanto il padre per la
morte dei bambini e decide di andarsene di casa e accompagnarsi a Pastore, che
è l’angelo che aveva annunciato la sua nascita. Pastore inizia Gesù a una
concezione della vita diversa dai dettami e dai dogmi appresi in sinagoga, gli
insegna la compassione e gli insinua il germe del dubbio verso il credo in un
dio vanaglorioso che Gesù conoscerà quattro anni più tardi. La scelta di
sacrificare una pecora a Dio gli costerà l’abbandono del suo primo enigmatico
maestro, del quale si ha il dubbio che sia un angelo o un diavolo.
L’immagine che
emerge di Cristo, man mano che cresce, è quella di un uomo comune, sottomesso
ai dettami religiosi del suo tempo, che un giorno incontra un dio che gli
promette il potere e la gloria in cambio della sua vita – quest’ultima è
un’imposizione, non c’è nessun arbitrio nell’uomo.
Così, il giovane
si ritrova a compiere controvoglia dei miracoli che gli procurano un seguito di
accoliti. Conoscerà l’amore con Maria, la reietta di Magdala, la prostituta più
anziana di lui nella quale il ragazzo proietta l’amore materno, oltre a quello
sensuale. Infine, immerso nelle nebbie del lago – deserto dell’anima di un uomo
SOLO – sarà a colloquio con Dio. Gli sarà concessa la conoscenza degli eventi
sanguinari che seguiranno alla sua morte, le guerre ideologiche, le persecuzioni
e le torture con un elenco lunghissimo di uomini e donne che daranno la vita
per appagare la sete di potere di un Dio volubile e cruento. Al dialogo sarà
presente Pastore - finalmente si svela la sua identità - colui che, davvero
compassionevole nei confronti dell’umanità, avrà l’ardire di tentare Dio per
salvare gli uomini. È come se da lì in poi i ruoli di dio e del diavolo si
capovolgessero, d’altronde, come aveva detto Pastore a Gesù durante
l’apprendistato: “forse dovremmo (…) tagliare un re per vedere se c’è un altro
re dentro la pancia, e bada che se incontrassimo il Diavolo e lui ci
permettesse di aprirlo, forse avremmo la sorpresa di veder balzare fuori Dio.”
Alla tirata
delle somme, si comprende bene che il fulcro del discorso saramaghiano non è
eretico né blasfemo. Usare protagonisti biblici è un pretesto per suscitare la
riflessione su Che cosa è giusto? Che cosa è sbagliato? Il GREGGE di cui
facciamo parte ha capacità di discernimento? Siamo davvero liberi di costruire
il nostro destino? Capovolgere quello in cui si crede per fede o per tradizione
non può che essere un pungolo a cambiare prospettiva, a imparare a guardare ciò
che si considera VERITÀ sotto una luce diversa, aprirsi a comprendere e a
conoscere altro che non sia quello che già sappiamo. Le radici culturali ed
emotive influenzano e si ripercuotono sul vissuto di ognuno, si può scegliere
di tranciarle, ma la cicatrice che resta ce le ricorderà per sempre.
Serena Giattina