È un incidente a far incontrare i quattro personaggi, ad attrarli verso un percorso condiviso che procede nello scorrere lento di una narrazione ricca di metafore e digressioni estetiche che riflettono l’atteggiamento e la visione sognante di Cyril. Hawkes sembra divertirsi nel fare sfoggio di una dialettica altisonante, ma il linguaggio adoperato dall’autore si confà alla voce narrante, che è appunto quella del dandy.
Ecco perché non ci si può accostare a questo romanzo col preconcetto di trovare una lettura scorrevole: l’autore invita il lettore a calarsi nella mente del narratore usando il suo linguaggio, per fargli comprendere quel punto di vista senza descrizioni didascaliche.
La storia si snocciola senza colpi di scena, spostandosi avanti e indietro tra il momento della narrazione, quando il clou della vicenda è già avvenuto, e i precedenti che hanno portato al compiersi dell’azione. Immersi in un paesaggio mediterraneo quasi bucolico, dove si riescono a sentire gli odori del mare e della natura, a percepire sulla pelle la brezza marina e il tepore del sole estivo, che lambisce i corpi nudi dei protagonisti della sua luce “insanguinata”. Quest’immagine, insieme al titolo, dà un indizio dell’epilogo tragico. Il gusto sensuale, nostalgico e pregno di impressioni intuite da Cyril, subirà una deviazione sul finire del libro, quando si avrà prova delle conseguenze reali causate dalla rottura nella routine cui ciascuno è abituato. Nel momento in cui si agisce seguendo l’istinto anziché le convenzioni dettate dalla ragione, gli equilibri saltano e giunge il momento di scegliere il proprio futuro. La crisi è forte, come mostra la catatonia in cui cade Catherine, Fiona abbandona il suo personaggio per seguire l’istinto materno che finora soggiaceva al suo estro e canalizza quell’amore incontrollabile, eccessivo che l’aveva sempre caratterizzata. Ritornare al sicuro delle etichette autoimposte o vivere sinceramente?
Serena Giattina