martedì 14 aprile 2015

Rosa Balistreri

Infame terra di gente infame e traditrice è la Sicilia che incarcerò l’innocente come ladra, e non perché avesse rubato di sua volontà, ma perché nei guai e pregna Rosa si venne a trovare.
La fame no che non la puoi fermare, non è fiamma di fuoco che gli butti di sopra un cato di acqua; il sonno ferma i debiti e le cambiali ma la fame morde le budella a strazzi: vuole un pezzo di pane, pure che è  duro.

Così fu che Rosa di carcere se ne andò a fare sei mesi, che per lei ci colpa il figlio ingannatore del padrone dove era finita a fare i servizi da cameriera: lui la vide in vestaglietta calata che puliva sotto il letto e gli venne il prurito dei cinque minuti. E in cinque minuti sì che fece danno, la mise incinta e ora chi se lo accolla?
Te lo dico io – le disse lui – si può rubare, rubagli i soldi a mio padre dal cassettone che ce l’ha pieno pieno. Li dividiamo un poco io e un poco tu, che tu ci campi la tua creatura dopo che nasce.
Lei femmina cretina lo volle fare, perché a volte i soldi sanno aggiustare le situazioni: lui le fece rubare i soldi dal cassettone, e lei finì in carcere a pane duro.
Uscita dalla cella Rosa andò a fare la sagrestana per un prete buono che le mise a disposizione un sottoscala dove dormire, a lei e pure al fratello storto che aggiustava le scarpe per arrotondare. Solo che poi il prete buono ebbe il trasferimento e arrivò un prete nuovo che pareva onesto e troppo caro; presto Rosa scoprì  che con le mani armeggiava quando si trovò con la mano benedicente messa di sopra. Allora disse io da qui me ne devo andare, questa è terra dove i primi infami sono i parrini - disse così mentre si pigliava i soldi della carità, che li prese per pagarsi il biglietto alla stazione.


Pure che rubò i soldi non andò in prigione, perché ogni tanto il Signore si mette dalla parte degli innocenti, e gli coprì gli occhi a quelli con la vista lunga e gli coprì la bocca a quelli con la pancia lenta.
A Firenze lei e suo fratello arrivarono di prima mattina e fu lì che Rosa cominciò a cantare per carriera, incise dischi, pure teatro fece, diventò amica di compagni acculturati: Ignazio Buttitta e Dario Fo e Renato Guttuso, perché Rosa aveva  una gran voce, una voce sporca e pure brutta, e però adatta per gridare che in Sicilia ogni ficodindia da cartolina è infamità e ogni radice di ficodindia è tradimento.
Ad ogni uomo che le tolse un poco di vita dedicò di cuore questa canzone:
Buttana ri to matri ‘n galera sugnu
Senza fari un millesimu ri dannu!
E al paese di Sicilia infame Rosa ci tornò, che lei la sua Sicilia non se la tolse mai dalla bile, perché pure che sei lontana mille miglia e passa, la Sicilia è terra che non te la puoi scordare, perché tutti i siciliani di dentro hanno due Sicilie, quella così com’è e quella come dovrebbe essere.

Giorgio D'Amato