domenica 26 luglio 2015

Lamento di Portnoy - recensione di Serena Giattina

Alex Portnoy è un trentaquattrenne ebreo americano, un uomo brillante e professionalmente soddisfatto, che decide di andare in terapia, per guarire, come si scopre durante la sua confessione al Dr. Spielvogel, dalle sue ossessioni sessuali che, di fatto, regolano la sua vita da ché ne ha memoria. Con un linguaggio esilarante, dissacrante, a tratti quasi osceno, Roth affronta tematiche forti: l’influenza dei genitori sulla sessualità di un bambino; la cultura, i tabù, le usanze che interferiscono sulla formazione dei figli, il ruolo della religione e del periodo storico in cui si cresce – in questo caso si tratta degli anni ’60 - sono elementi fondamentali nella formazione dell’individuo, il tutto mosso dal motore sesso.
Perché, sebbene ironico e a tratti esasperato, il racconto di Alex contiene interessanti spunti di riflessione: la famiglia, con le diverse individualità (spassose e grottesche, come i genitori del protagonista) che vi interagiscono, spesso in un gioco di ruoli capovolti e complementari, inizialmente per un bambino rappresenta il nido, poi, da adolescente in rivolta con se stesso e col mondo filtrato dalla mentalità materna e paterna, la famiglia diventa una gabbia dalla quale non si desidera che fuggire. Ed è proprio questo che fa Alex: scappa dai genitori apprensivi, che per tutta la vita lo hanno trattato da semi-dio – il bambino più intelligente, il più dotato -  o, almeno, s’illude di farlo.

Il complesso di Edipo è molto più contorto di quanto sembri, l’amore-odio di Alex nei confronti della madre morbosa, con la quale il rapporto si consuma quotidianamente sotto lo stesso tetto in cui vive il marito che lei tradisce con suo figlio. È tutto un lavorìo mentale del protagonista, che fin dalla pubertà sfoga una frustrazione che non comprende in ore di masturbazione (qualunque momento della giornata è ideale per farsi una sega, e se non ha modo di appartarsi, escogita metodi che solo a un ragazzino possono venire in mente, con l’adrenalina a mille per il timore di essere scoperto da un momento all’altro). Al di là dei passaggi comici, Roth dimostra che le tendenze feticiste e voyeuriste di Alex sono frutto dell’incomunicabilità con i propri genitori; la partner ideale per un depravato come lui, non può che essere una donna sessualmente insaziabile ed estrosa, ma intellettualmente e culturalmente decisamente inferiore, perché gli consenta di continuare nella sua convinzione di essere migliore. Compagne dall'intelligenza vivace, colte e argute, Alex, razionalmente a posteriori le rimpiange, ma è proprio lui, con i radicati giudizi ebrei ereditati dai genitori, che non poteva tenere il confronto con teste pensanti e libere.

Il viaggio in Palestina, la sua terra, rappresenterà una folgorazione per il protagonista, che finalmente guarderà in faccia cosa significhi essere ebreo e gli farà rimettere in discussione l’etichetta che per una vita si è autoimposto.

Serena Giattina