ùnghio s. m. – Forma rara o scherz. per unghia: per nascondere la propria emozione si grattava un orecchio con il lunghissimo u. del mignolo sinistro (Tomasi di Lampedusa).
Il genere dei sostantivi è dato certo, inconfutabile. In genere.
I palermitani, però, sfuggono alla rigidità della grammatica imposta, dando vita a una lingua più libertaria. Se oggi alcuni termini sono utilizzati dalle fasce meno alfabetizzate della popolazione panormita, le ragioni non sono da liquidare con un banale “sono ignoranti, non sanno parlare”, ma cercate nella volontà di autonomia siciliana, che prima di concretizzarsi politicamente doveva passare attraverso la lingua. Prendiamo il caso dell’unghia. Lo stesso Giuseppe Tomasi di Lampedusa sembra buttar lì il termine incriminato, al maschile, per caso; si trattò invece di un messaggio in codice per i confratelli massoni e di un guanto di sfida lanciato in faccia all’intellighenzia dell’epoca. Fatto sta che scripta manent, così a tutt’oggi possiamo leggere nei suoi scritti “l’unghio”. Intanto il vento di rivolta in Sicilia si placò così come si era alzato e l’unghio fu relegato ai margini del ben parlare.
In quel di Palermo era considerato inaccettabile parlare al femminile di qualcosa che, per natura, è strumento di aggressione. Si narra che in tempi remoti, un manipolo di picciotti, mandato da certi uomini d’onore, aggredì l’unghia alle terga e dopo averla imbavagliata e stordita la portò segretamente a Casablanca per un trapianto di sesso. Il luminare che si occupò dell’intervento fu zittito dall’intimazione “masculu è” e il suo silenzio ricambiato da lauta ricompensa. L’unghia, divenuta unghio per mano di bruti palermitani, fu rinvenuta in stato confusionale sulla sponda dell’Arno da un capannello di passanti che, scuotendola dal torpore e accorgendosi dell’abominio compiuto su quel corpo, l’accompagnarono immantinente a Casablanca per ridarle la sua natura. Il solito luminare scosse il capo, rivedendo la paziente, ma non potendo venir meno alla sua etica professionale, la portò nuovamente sotto i ferri. Da allora quell’essere ormai privo d’identità, abbonato a Volagratis per i continui impianti ed espianti di membro, vaga in lungo e in largo per lo stivale italico, talvolta ribellandosi agli aguzzini s’incarnisce e li fa soffrire, talaltra seppellisce il suo intimo dolore sotto strati di smalti variopinti, gel ricostituenti e strass frivoli, glissando indifferente alla domanda “come ti chiami?”
Serena Giattina