lunedì 30 maggio 2016

Il ratto in tavola

Il ratto è fatto! E pure servito! Leggo che la carne di topo diventerà legale anche in Italia. Adesso ci sarà un altro piatto da inserire nel menù a base di carne, il topo.

venerdì 27 maggio 2016

Buon compleanno, Peppù

Caro Peppuccio,
non ti conosco, ma vivo ormai da 3 anni nella tua Baarìa, in quella città a cui hai dedicato uno dei tuoi film più rappresentativi, sospeso a metà tra un realismo pasoliniano e una dimensione onirica e cinica allo stesso tempo, che ricorda un po' "Il tamburo di latta" di Schlöndorff. Mi sono trasferita qui già innamorata della città, proprio per colpa di quel tuo film, Peppuccio, e mi sento pure un po' presa in giro, ma ti perdono: all'arte si può concedere di essere bugiarda.
Caro Peppuccio, conosco tanti bagheresi a cui il tuo film non è piaciuto, ne conosco alcuni che addirittura si sentono offesi da come hai riassunto questa città. Io non condivido (ché secondo me l'hai pure migliorata: a munnizza un c'è, nel film), ma posso capirli: li hai messi a nudo. Tu, Peppuccio, li hai spogliati della loro arroganza baariuota, gli hai tolto macchinoni, gioielli e abiti firmati, e hai mostrato al mondo chi erano fino a qualche decennio fa: pezzenti!
E non solo pezzenti: ignoranti! E non solo ignoranti: comunisti! Ma ti pare comportamento cristiano, Peppu'? E mo' come ci vanno a Casteldaccia a pavoneggiarsi della loro baariuoteria? E mo' a Palermo al Palazzo a vantare le loro nobili ascendenze democristiane, con quale faccia s'apprisentanu?
Peppu', non glielo dovevi fare questo sfregio, ai baariuoti. Che si sa, l'importante è l'apparenza, e l'hai illustrato tanto bene pure tu con questo tuo film color ocra come i nostri palazzi abusivi, che si può morir di fame ma con dignità!
Potevi parlare di principi e principesse, di quella bella nobiltà chiusa nelle ville barocche che ci fa sentire tutti un po' più ricchi e nobili, potevi fare "Il Gattopardo" in versione bagherese, e invece hai fatto una specie di "Ladri di biciclette", e ni facisti passari tutti pi' pizzenti.
Peppu', io li capisco un po' sti baariuoti che ce l'hanno con te, ma ti voglio bene lo stesso e ti faccio tanti auguri di compleanno, perché quel film era un atto d'amore puro, e l'amore, in qualunque modo si manifesti, resta sempre amore.
Io ti voglio bene lo stesso perché, quando cammino per strada e vedo cose brutte, penso alla sfolgorante bellezza di Margareth Madè e mi consolo, ché almeno le donne bagheresi le hai fatte belle. 
Io ti voglio bene lo stesso perché, se voglio un po' di bene a questo posto, la colpa è anche tua e di quel tuo film così maestoso e leggero allo stesso tempo, che riguardo almeno 4 volte l'anno.
Buon compleanno, Peppu'!

Tamara Carone

giovedì 26 maggio 2016

Tutti i figli di Dio danzano, di Haruki Murakami

Nessuno si trova per caso. Murakami in questi sei racconti ci parla di incontri fatali che possono cambiare la vita, che offrono una via di fuga. "Il nostro cuore non è fatto di pietra. La pietra a un certo punto può andare in frantumi, sbriciolarsi, perdere ogni forma. Ma il cuore non può andare in frantumi. E questa cosa senza forma che ci portiamo dentro, buona o cattiva che sia, possiamo trasmetterla gli uni agli altri senza limiti."

mercoledì 18 maggio 2016

I santi di Collerognone, di Letizia Lipari

Inutile negarlo, Letizia deve la sua ispirazione a Santa Madre TiVù. 
E per questo le toccherà ringraziarla tutti i santi giorni. 
Io, intanto, ringrazio Letizia per questo paio d’ore che mi ha fatto trascorrere nel paese dei miracoli e più precisamente a Collerognone.
Lì si aggira un ispettore che - come giusto che sia - raccogliendo di bocca in bocca notizie sulla morta (il delitto è d’obbligo, se no a che cosa serve un ispettore?) trarrà le sue esatte conclusioni.
La verità di tutte le verità verrà a galla, perché alla fine è solo tutto quello che combacia a dire le cose come stanno, ed è una soluzione davvero inaspettata che - per quanto fosse lì sotto gli occhi - sono sicura, nessuno l’avrà seriamente tenuta in conto. Proprio così, ogni lettore avrà usato il proprio ingegno per andare oltre la barriera delle parole dette, trastullandosi con la fantasia, istruendo congetture buone per un processo, per una arringa accusatoria, ma…
Un ispettore serio, non sbaglia un colpo, e sebbene questo sia solo il suo primo caso, a me pare di intravedere, in tale esordio Lipariano, una carriera di scoperte in grado di spiegare molte e molte cose e non solo di Collerognone, ma anche di quell’hinterland che gli contende la leggenda di Garibaldi. 
Con questa tecnica potrebbero uscire dalla bocca di tanti, mille verità, ed essere risolti molti delitti, chissà; ai tempi di Calvino si scriveva di guerra, partigiani e di nidi di ragni, oggi, quest’altro filone, che - se si scava bene - potrebbe rivelarsi una miniera di pepite d’oro.
No, non vi dico altro, aggiungo solo che i personaggi, diversi per cultura e per mestiere, sono un coro unanime e allora quando si dice Voce di popolo… vuol dire che la verità è solo quella e, per davvero, non ci sono Santi!


Adelaide Jole Pellitteri


lunedì 16 maggio 2016

Al XXIX Salone Internazionale del Libro di Torino

Conferenze, laboratori, spettacoli, presentazioni di libri in sale convegni di tutti i colori: argento, gialla, azzurra, rossa, verde; un enorme spazio espositivo, roba che mi potrebbe venire una sorta di Sindrome di Stendhal. Vago tra libri, scrittori, intellettuali, musicisti, giornalisti, politici. Il ventinovesimo Salone del libro di Torino ha come tema le visioni, il guardare oltre, sul futuro di un libro diverso che cambi col cambiare dei tempi: invenzioni tecnologiche che segnano il salto del passaggio al digitale, per scoprirne le motivazioni ed accettarne il processo in modo corretto. Essere visionari di un modo nuovo, portare avanti innovazione, osservare possibilità diverse, una realtà futura che promuova i libri come strumento di tale cambiamento. I libri contenitori visionari. Divulgare cultura, immaginare il futuro del libro, puntare all'unione di competenze scientifiche e umanistiche. Il libro come formattatore della mente, contenitore di dati e mezzo per trasmetterli, per diffondere cultura e saperi. Paese ospite l'Arabia Saudita, protagonista il mondo arabo, il concetto di pace nella grande libreria di Italia. Il Corano e la sua interpretazione corretta, l'Isis che nasce dal fallimento dell'Islam radicale. 

Si parte dall'immagine di Mimmo Saladino "I Visionari", le visioni sono boccate d'aria in un periodo di crisi buia, un periodo che si schiaccia al presente e che può creare intorno al libro nuove via di fuga, collegamenti con altri mondi - spaziare. Incontro Dacia Maraini che ci ricorda come può essere grande il desiderio di essere padre; Alberto Angela presenta il suo libro "San Pietro" che è stato luogo di incontri tra genti di differenti culture, cuore pulsante tra storia e arte, un modo di viaggiare per 2000 anni attraverso testo e fotografie. La memoria da cronologica si fa emotiva nel romanzo Ciao di Walter Veltroni, sulle tracce del padre, ci sono pure Pippo Baudo e la Gamberale. Congiungere il canale di Suez che si è creato tra i popoli fino all'arrivo della cultura di massa, sfida contro atteggiamento aristocratico; puntare a un linguaggio che ci unisca, a un sentire comune, a una cultura senza muri. Importanza del panorama è il dubbio; si muove chi è animato da curiosità, il dubbio come benzina di un rinnovamento culturale. Non esiste migliore visionario di un fisico, che sa vedere oltre, usa la fantasia di scienziato e procede guardando lontano. Rovelli ne discute mentre presenta il suo libro sulla fisica e galassia marginale. Dal mondo scientifico a Saviano,  la gente aumenta e le ore di coda. Lo scrittore dopo dieci anni da Gomorra ci dice in confidenza che il suo libro scomodo gli ha stravolto la vita, ma la voglia di scrivere verità supera il resto. Carica e voglia di scoprire, cambiare, di non assuefarsi alle idee comuni, cercare altre cose attraverso un pensiero divergente e quindi rivoluzionario. Non può esistere una sovrastruttura innovatrice senza il cambiamento della struttura stessa e l'arte ne è la prova. Ascolto un testo e una interpretazione di Giufini, un'Amleto davvero particolare, a quattrocento anni dalla morte di Shakespeare, e poi un urlo tra la gente, c'è Ligabue. E poi Zalone come testimonial della Puglia, altra regione ospite d'onore; la Grubber, Guccini, Erri De Luca, la Murgia, Venditti. Al Salone si discutono tematiche interessanti: il mito della famiglia italiana, il successo delle mafie, il magico potere del riordino e quello creativo della mente, l'autenticità della Sindone, l'editoria dal sistema ghigliottinante, la letteratura come laboratorio di geo-politica, l'accoglienza, l'islamofobia. Ascolto letture di brani dal carcere arabo, poesie del Novecento, vedo un numero enorme di gente e di libri, anche i più piccoli al mondo.



D'amore si muore ma io no, con Guido Catalano; Racconti di cucina e consigli su come incontrare l'uomo giusto, cucinarselo e tenerselo! Prendo un Caffè amaro anche se la Agnello Hornby è già andata via. Quanti Visionari. Mi piace vederli così! Magari è solo gente che deve promuovere il proprio libro o comprarne uno o che soddisfa curiosità. Passione da gustare con gli occhi, perché il tempo di leggere muore, il libro resta. Gente che non ha visioni o farneticazioni distorsive della realtà, non crede in cose inesistenti, ma in un mondo che va oltre, che osa. Gente che guarda e naviga in immagine e mondo internet, che sogna una scrittura che si faccia lampada di Aladino così da trasformare il mondo. 
Nina Tarantino 



Scempio in spiaggia o legalità? WE SERVE


Il 13 maggio 2016 un gruppo di studenti del liceo scientifico D'Alessandro pulisce la spiaggia del Sarello ad Aspra.

Ottima cosa.
Lo stesso giorno, a testimonianza della pulizia avvenuta, i Lions bagheresi, esattamente come i cani che marcano il territorio, commissionano ai ragazzi stessi un murale di 32 metri quadrati per scriverci WE SERVE - Un'impronta di legalità.
La realizzazione con la scritta WE SERVE, progetto dei Lions, troneggia, diventa un faro, la vedono pure i tonni che sguazzano in alto mare.


E' questo il senso della cura del territorio?
Per dire, io ieri ho tolto un topo morto che si trovava per strada, dovrei andare a mettere una lapide in marmo con il mio nome? "GIORGIO D'AMATO - Un'impronta di pulizia"?
Ma gli agenti atmosferici sono più forti del ducotone, che la natura ripristini ciò che i Lions hanno decorato.
(A scanso di chiacchiere inutili, ero stato convocato in loco da una signora di mia conoscenza che mi aveva chiesto di aiutare nell'iniziativa, ho manifestato dubbi sulla bellezza del progetto, ho abbozzato il francobollo "un'impronta di legalità" e poi sono andato via dichiarando la mia "incompatibilità" con l'iniziativa.)

Giorgio D'Amato

giovedì 5 maggio 2016

Maniaci, slogan, selfie

Maniaci ci ha presi tutti per il culo?
No, siamo stati noi a porgerglielo.
Perché siamo pigri, perché Il giorno della civetta è troppo lungo da leggere, gli atti del maxiprocesso pure, meglio farsi una cultura antimafia da slogan, una decina di parole convincenti e hai trovato il tuo eroe antimafia da citare quando c'è da farlo.
E alcuni diventano eroi dell'antimafia perché incrocchiano parole, altri perchè gridano che la mafia è montagna di merda e intanto si sparano un selfie con un po' di gente alle spalle. Altri ancora organizzano balletti nel corso principale di un paese ad alta densità mafiosa - i mafiosi ringraziano, gli ancheggiamenti delle ballerine hanno allontanato un po' di noia.
Ieri leggo di una Associazione Nazionale per le Verità Scomode,  uno dei suoi
esponenti - Giuseppe Germano - presenta il libro di Cuffaro e Cuffaro anticipa "Una piccola chicca: dalle molte indiscrezioni emerse in sala pare che lo stesso Cuffaro, benché fuori dai giochi politici per sua decisione, avrebbe deciso di puntare sull’investitura politica futura di Giuseppe Germano nell’area “Cuffaro-Romano”."

Qui la fonte da cui ho estrapolato la citazione

I rivelatori di verità scomode dovrebbero far luce sui disastri provocati dai "nascosti" che a livello locale hanno deturpato mezzo mondo. E invece si ambisce a cariche politiche nell'ambito di un candeggiamento dei soliti poteri.
Maniaci non ci ha presi per il culo. Noi siamo portatori di culi ignoranti, ci meritiamo di essere gabbati da estorsori più o meno furbi.
Uno slogan fa sempre comodo agli antimafiosi e ai mafiosi, dice tutto e non dice niente.
"La mafia fa schifo", slogan di Cuffaro, dovrebbe dirla lunga su quanto valgono gli slogan. Ma noi ci cadiamo sempre.


Giorgio D'Amato 


mercoledì 4 maggio 2016

JE SUIS TELEJATO

La mafia non c'entra niente! 

I canuzzi di Pino Maniaci sono crepati "di mortitudine" naturale. 

E io? Niente di niente! Manco un cane morto per me, che ne so, anche uno di piccola taglia, anche uno già schiacciato in autostrada e lanciato nel mio giardino. Niente!
SONO INCAZZATA, sono veramente Incazzata!
Io pure vorrei avere i miei cani morti, a casa mia; li voglio seppellire tutti nel mio giardino, per ricordo.
Una volta una che non mi poteva vedere, ci ha provato a fare fuori il mio pastore tedesco  con un pezzo di mollica di pane, che il lievito madre era scaduto - il cane si affucò ma vivo arristò. 
Ora il mio desiderio è enorme, non mi accontento più di uno o due cani morti, ci vorrebbero quelli del porto! Li voglio tutti per me: quel rompipalle del chihuahua della mia vicina, ca pari un succi muzzicunaru; lo yorkshire del portiere ca abbaia ca manco na cinquciento con la batteria scarica. E i cani del mio amico, da valle dei miracoli, ci fareste un favore, chi orbo di un occhio, chi zoppo, fetenti ca manco i tombini del cimitero alle 14 dopo una giornata di scirocco! 
Lo stesso feto di cani morti voglio per me! 
Io sono sfortunata: con tutti gli amanti sposati che ho avuto, non me lo meritavo almeno un cane, dico uno, dedicato a me? 


Perché nessuna moglie tradita mi ha fatto sto regalo! Non è giusto! I loro mariti non valgono manco un cane morto!

JE SUIS TELEJATO!
Voglio tanti cani, non mi interessa di che razza, tanti, tantissimi, tutti impiccati, uno per ogni sbarra della mia ringhiera.

Sono antimafiosa anche io!

Nina Tarantino

giovedì 28 aprile 2016

Palazzo Conte Federico

Arrivo a Villa Bonanno mentre il coro dei bambini intona La vita è bella; ho appena superato le Case Romane i cui pavimenti a mosaico fanno bella mostra di sé tra le palme a pochi metri dalla fossa granaio del '500. Raggiungo il sagrato della Cattedrale dove si esibisce il coro. Le voci mi arrivano argentine e… sì… è proprio vero, la vita è bella. Lo è perché basta una manifestazione cittadina per creare aggregazione e scoprire tante cose che sebbene tu (cioè io) sia nata e cresciuta in questa città e dichiari quotidianamente di amarla con i suoi pregi (tanti) e i suoi difetti (altrettanti) scopri di non saperne abbastanza. 
Ascolto il pezzo, lo registro con il cellulare e lo condivido subito con chi, per pigrizia, non ha voluto seguirmi. 
L’evento di cui parlo e La via dei librai, organizzato in occasione della giornata del libro e del diritto d’autore, fortemente voluta da varie associazioni come Wish, Cassaro alto, Albergheria e Ars Nova, e alla quale hanno aderito piccole Case editrici indipendenti, appassionati di scrittura e creatori di blog letterari, scesi in campo per provare a raggiungere chi ha smesso di leggere e quindi anche di sognare, sperare, capire e soprattutto creare. Creare alternative, cimentarsi nel nuovo facendo leva sul fatto che il mondo può andare avanti solo così. 
Mi addentro tra le bancarelle mentre cerco gli amici di Apertura a Strappo, il blog del quale anch’io faccio parte e che, inseguendo l’ideale cui ho appena accennato, crea, crea e crea. 
Crea ogni giorno piccoli racconti che diffonde per via telematica narrando di tutto, provando ad informare la gente di ciò che le accade intorno, magari con scritti ironici, allusivi o decisamente provocatori. 
Sono all’altezza di Via Protonotaro e un ragazzo dal portamento elegante mi porge una locandina dicendomi che alle 11,00 sarà possibile visitare Palazzo Conte Federico. La notizia mi sorprende, quello che so a malapena di questo Palazzo è che esiste. Punto. 
Sono sola e questo genere di visite, per mia abitudine, le faccio con amici, ma… penso… quando mi ricapita?
La vita è bella anche per questo, perché se non cammini non saprai mai chi incontrerai sulla tua strada.
Ma quando mi ricapita? me lo sono già ripetuto tre volte e allora vuol dire che, se me lo perdo adesso, magari, non ci sarà più l’occasione; perché è così, lo so, sarà più facile progettare di rivedere il Louvre oppure il Bardo di Tunisi che non questo “mio” palazzo cittadino del quale non so praticamente nulla.
Ok, ormai ho deciso, opto per il palazzo. Mi addentro per il vicolo indicatomi, ma non lo trovo, chiedo informazioni ma nessuno lo conosce e questo perché nello strettissimo vicolo e da una facciata del tutto anonima non si può immaginare che quello sia ciò che È: Palazzo Conte Federico.
Aspetto una decina di minuti che si componga il gruppo visitatori e scopro che a farci da guida sarà il ragazzo che mi ha dato la locandina nonché il giovane conte Federico. Waooo! 
La sua famiglia discende da Federico d’Antiochia figlio illegittimo di Federico II e si occupa personalmente di accompagnare i visitatori. Ad accoglierci all’ingresso troviamo, infatti, anche la giovane madre; una signora bionda, esile con un sorriso accogliente capace di mette subito a proprio agio e che si occuperà dei turisti di lingua straniera.   
Il Palazzo è un autentico scrigno, contiene i mille tesori della Palermo Felice. Affonda le sue origini nelle mura che cinsero la città quando ancora era abbracciata dai fiumi Kemonia e Papireto. La sua estensione va da una torre normanna del XII sec. alle sale con i tetti a cassettone risalenti al ‘400 fino ai saloni settecenteschi con i soffitti riccamente dipinti dal Serenari e il D’Anna. 
Stanze che ospitarono Garibaldi, le “motivazioni” massoniche, i balli gattopardeschi, ma anche Giuseppe Verdi e Wagner. Inoltre, sulle pareti spiccano foto che ricordano la mitica Targa Florio che il nonno della nostra guida organizzava con l'amico e ideatore, Vincenzo Florio.  
Sono in bella mostra anche tante medaglie e sui mobili, in fila, decine di coppe, e poi i quadri che raffigurano le otto generazioni che si sono succedute nella residenza e foto di vita più recente come quella con Emanuele Filiberto di Savoia. Non mancano le collezioni di armi, le armature e le ceramiche e i ritratti di chi partecipò ai Vespri Siciliani e poi gli stemmi dei casati che, nella Sicilia antica, hanno combattuto guerre e sancito matrimoni... Impossibile stilare una lista, ai più sembrerebbe solo l’inventario di un museo in allestimento.
Eppure oltre tutto questo, ciò che mi ha davvero stupito è che i nobili Federico mostrino al visitatore un modo di vivere all’insegna di conquiste. 
Il palazzo è ricco di trofei che indicano come la vera conquista risieda nel modo in cui si decide di vivere. Importante è sapersi misurare con se stessi, con il proprio talento.
Sì, è questo che mi hanno suggerito i premi per le vittorie nelle gare d’auto (del conte Alessandro) o di nuoto (della moglie, grande sportiva nonché cantante lirica) ed è per la somma di tutto quanto che Palazzo Conte Federico, in definitiva, non è solo una casa museo, non è semplicemente un palazzo nobiliare, non è neppure un mausoleo dove sia stata sigillata un’epoca, è al contrario un lungo viaggio nella storia, la loro, ma sorprendentemente anche la nostra.
Uscendo scatto un ultima foto a una Ferrari degli anni 60, è proprietà del Conte Alessandro ed è posteggiata nell’androne che progettò il Marvuglia.  

Adelaide Jole Pellitteri

martedì 26 aprile 2016

Furono belli

Erano belli quando presero le camicie bianche arrotolate sui gomiti, si portarono indietro i capelli lucidi di brillantina. 
Avevano grandi sorrisi e una rosa rossa. Erano belli mentre correvano vocianti e le strade vuote si riempivano. E' finita. E' finita. Lanciarono in aria i cappelli e le giacchette superstiti. Correvano insieme ai carri degli alleati, pioveva la gomma americana, la cioccolata che colorava le guance alle ragazze. 
Fu una festa. Passarono alla storia. Furono belli quando strinsero le donne baciandole e ballarono, furono belli quando lanciarono in aria i figli. 
Furono belli quando mangiarono e per la fame si ingozzarono. 
Furono meno belli quando fermarono il convoglio e per quell'oro uccisero occultandolo. Massacrarono.
Lasciando ad alcuni la vendetta, l'odio che aveva nutrito i loro lombi, quando braccati, preda di ludibrio e malvagità, erano stati prigionieri e scritto le loro lettere dalla Resistenza, senza invocare grazia e pietà. Lasciarono a questi la vendetta, fare a brandelli i mandanti, deformandone il viso. Strappare alla puttana la camicetta e le perle, la giacca e la gonna. Frugarono tra le sue cosce e si levarono ogni sfizio. 
Mentre altri destinarono all'oro l'attenzione beffarda. Uccidendo senza giudizio
Furono belli mentre danzarono in strada.
Furono Repubblica. E finanziarono i partiti.

Clotilde Alizzi