E’ nella natura umana assegnare a un luogo, a un evento una caratteristica che lo associ a qualcosa o a qualcuno affinché la dimenticanza non insinui la propria presenza, così alle strade s’impone un nome che spesso ripetiamo vuotandolo di significato e può capitare che Giuseppe Verdi da compositore divenga luogo d’appuntamento, per non parlare di Dante che è meno famoso di un certo Gino, si cerca quindi di restituire dignità e identità a luoghi che per molti significano poco o nulla e che il tempo ineluttabilmente tende a sbiadire, abbiamo bisogno di simboli per farlo, per non dimenticare.
Nell’ambito della festa di San Giuseppe, quest’anno ad agosto è stato riaperto un luogo che appartiene alla storia di Bagheria: la putia di Ignazio Buttitta nel Corso Umberto, la bottega dove il poeta faceva “u cascavaddaru”, dalla quale osservava il microcosmo umano offerto giornalmente, la sua finestra sul mondo, anche se poi non ci rimase a lungo. L’amministrazione, di concerto con la bottega d’arte di Pina Castronovo, per l’occasione ha permesso la realizzazione di una targa da affiggere accanto alla porta della putia perché come dicevamo i simboli sono necessari punti di riferimento, tasselli di memoria, e perché anche l’ignaro turista di passaggio possa sapere cosa rappresenta quel luogo, cosa c’era dietro quel portone verde oggi serrato.
La targa è stata rubata al suo posto ci sono quattro buchi profondi e questo atto ci dà il polso di Bagheria oggi, una città incompiuta e spesso mutilata da ciò che potrebbe raccontarla in maniera diversa.
Il valore intrinseco dell’oggetto è poco significativo rispetto al valore negativo del gesto stesso. Un atto vandalico compiuto da un ragazzino imbelle e imbecille, o un gesto mirato da altrettanto imbecille consapevole?
Ad ogni modo si spera che non diventi una moda poiché pare che atti analoghi siano stati commessi anche altrove negli ultimi tempi. A coloro che scippano le targhe voglio dire che non è sufficiente questo per sradicare uomini e azioni dalla memoria collettiva. Difficilmente dimenticheremo Mario Francese, anche una targa a suo nome è stata rubata.
Sicuramente il cammino per riappropriarsi della memoria collettiva sarà più difficile, ma non sarà arrestato, la sfida per non vanificare il passato diviene più dura. Mnemosine, personificazione della memoria, è la madre delle nove muse e anche, non a caso, sorella di Temi, la dea della Giustizia.
E’ deprimente pensare che ci siano uomini deboli che agiscono nell’ombra e che abbiano timore del valore morale e culturale che una piccola targa di plexiglass racchiuda. Come diceva Goethe: l’ingratitudine è sempre una forma di debolezza. Non ho mai visto che uomini eccellenti fossero ingrati.
E di uomini e donne eccellenti invece questo paese ne racchiude tanti, ci sono persone che credono nel valore dell’arte e della cultura e che a dispetto dello scherno e dell’indifferenza divengono portatori di parole e bellezza con pazienza certosina e con le difficoltà che costellano il percorso. Contro l’oblio e la morte morale vogliamo parlare, anzi gridare. La mancanza di memoria è vuoto e assenza, la mera anticipazione della fine, poiché vanifica le azioni dell’uomo, ma è dovere civile vanificare i gesti di chi vuole allargare questo vuoto. Cerchiamo di riempirlo con valori e parole di denuncia perché la nostra identità è nostra. Diceva Buttitta, un populu diventa poviru e servu quannu ci arrubbanu a lingua, siamo noi le sentinelle della nostra lingua della nostra cultura, sentinelle quelle serie però.
Adele Musso