Tutti sappiamo quel che è successo due giorni fa, a Parigi. Ma epiloghiamo. Alla sede di Charlie Hebdo, pungente settimanale satirico dalla ben nota fama, almeno in Francia, tre uomini, facenti parte di quel filone islamico radicale che "vendicherebbe Maometto", hanno ucciso a colpi di Kalashnikov e vendetta dodici uomini, non solo della redazione.
L'orgogliosa e nazionalista Francia, - beata lei, aggiungerei io - ha prontamente, e fortemente reagito a quello che essa stessa ha definito "Il più feroce attentato mai verificatosi nel Paese dal 1961", tramite la voce dei suoi governanti, o aspiranti tali (è subito stato chiesto un parere al presidente Hollande, né è mancato quello di Marine Le Pen. Solidarietà anche dal nostro Renzi, da Obama e la Cancelliera Merkel.
E il popolo internettiano, sempre pronto al passaparola mediatico, è insorto al grido di "Je suis Charlie", io sono Charlie, ad indicare la volontà di non far morire la libertà di stampa (e di pensiero) a causa di una mano armata.
L'atto, assolutamente deprecabile, ha, però, suscitato anche reazioni controverse, ed io ho avuto l'occasione di discutere la vicenda con un ragazzo residente ad Algeri, ligio musulmano e connazionale dei principali sospettati. Il suo punto di vista può essere interessante per capire che aria tiri laggiù.
Egli, infatti, mi riferisce che, sebbene condanni in modo irrevocabile l'efferato gesto, pensa anche a quanto pesanti per il suo credo (e per le religioni in generale, da sempre uno dei bersagli prediletti della penna di Charlie) sono le vignette, i messaggi e la satira proposta dagli ormai deceduti disegnatori. Aggiunge che la Francia non è esattamente la patria della Libertè, che, anzi, solo agli originari, i "Francesi De' Francia", garantisce una vera voce. Che ultimamente si parla meno di libertà - parola soppressa, insomma.
Qui in Italia, invece, lungi dal separarsi mai dalla propaganda, negli immancabili e prontissimi programmi televisivi, allestiti con zelo già dalla sera stessa il fattaccio, si scontrano le ideologie di Destra e Sinistra, tra chi - come Salvini - auspicherebbe una immigrazione controllata perché, sostiene, "Se mi arriva un immigrato la cui religione incoraggia l'uccisione degli 'infedeli', io voglio controllargli i connotati fino alla settima generazione, se permettete".
Risponde il PD: "Ma i tre attentatori sono francesi!".
Gli Italiani sembrano già seguire i due prescritti filoni, dividendosi tra chi condanna l'ormai enorme afflusso di immigrati nel Bel Paese e chi, invece, sostiene siano le manchevolezze ed il lassismo di noi dell'Occidente quelle da biasimare. Dov'è la sicurezza? Dove sono le forze armate, mentre due o tre imbracciano fucili e coltelli e compiono stragi?
Non ho idea di come si risolverà questa faccenda, né di cosa tutti noi faremo per porvi rimedio. Nel frattempo, interessante penso sia porre l'attenzione sull'intervento di chi, interrogato su quali fossero i pericoli che un atto del genere potesse colpire anche L'Italia, ha risposto: "No, non credo siamo tra i primi del mirino. Insomma, non stiamo intervenendo in Siria, né in Libia... Ritengo improbabile che Roma, Napoli o Milano debbano guardarsi. Non nell'immediato, ecco".
Non potrei essere più d'accordo. Ed aggiungerei, citando il prosaicissimo Fiorello in una trasmissione di qualche anno fa: "Non vi disturbate a lanciarci missili, bombe, a farci attentati e compagnia... Tranquilli: affonnamo benissimo da soli".
Elena Spina