In questi ultimi due giorni tutti abbiamo conosciuto Charlie Hebdo; una rivista satirica francese di scarsa tiratura - presumibilmente presto avrebbe chiuso i battenti. I fratelli Kouachi hanno sterminato le persone che questa rivista la creavano – uno di loro aveva collaborato con Linus; mio marito, suo grande estimatore, dopo aver sentito la notizia, è corso a prendere uno dei suoi amati giornaletti e mi ha mostrato il suo nome: Wolinski…. , “si, era lui…bravissimo disegnatore”.
Anche un altro amico su fb ha scritto che a sentire il suo nome ha avuto un attimo di mancamento. Confessava che neppure la notizia di altre stragi lo aveva colpito così tanto. Ho immaginato che quello che lo avesse maggiormente colpito fosse stato l’attacco diretto ad un simbolo della libertà occidentale– la più preziosa, forse: la libertà di parola. Questa strage ha avuto effettivamente un enorme ripercussione; da due giorni si corre dietro a questi criminali che si aggiravano nella città di Parigi, provocando paura e sgomento.
Io non conoscevo la rivista né i suoi autori, ma cerco altro. Cerco di capire chi erano questi uomini che avevano imbracciato un Kalashnikov per assalire la sede della rivista e massacrarne gli autori. La rivista satireggiava i politici, i costumi e le religioni, non solo la religione musulmana ma anche quella cristiana; oggetti di satira a ragione del fatto che le religioni lasciano poco spazio alla “libertà di pensiero”. La satira al dogmatismo è una delle ragioni per cui la satira è nata.
Seguo le notizie in TV, sento che gli elicotteri stanno sorvolando l’edificio; una tipografia, dove i terroristi si sono asserragliati e che trattengono un ostaggio. Sono in trappola. E’ in corso un’azione, seguo in diretta da Rainews 24, si vede uscire fumo dall’edificio, si sentono spari. Grande desolazione, grande pena; per loro, ma anche per noi.
Ho saputo, come tutti, che i terroristi sono nati in Francia; che sono cresciuti nella cultura francese; hanno genitori algerini; ho pensato a cosa è ora l’Algeria, a cosa era.
I terroristi sono stati atterrati proprio ora. Vivevano nelle banlieue di Parigi, erano degli individui asociali; erano stati in carcere per reati minori. Sento, in questo istante, che sono stati finalmente uccisi. Escono dalla tipografia e vengono uccisi. Le persone che si trovavano dentro l’edificio, escono. Eravamo al terzo giorno di questa vicenda. La Francia si distende.
Ma ora sappiamo qualcosa di nuovo.
I terroristi non erano immigrati recenti; non venivano da lontano, condividevano i problemi della Francia contemporanea con tutti i parigini poveri. Erano stati in carcere, diverse volte.
Questo episodio criminale ci sta dicendo cosa ci aspetterà da ora in avanti: il terrorismo di prossimità.
Condivido molto l'opinione di chi crede che questo tipo di terrorismo, quello cioè alimentato da individui di origine straniera ma che sono nati e cresciuti nel paese, in Francia ad esempio, nasca e si alimenti soprattutto di risentimento sociale: se si considera che queste persone raramente sono degli individui realmente integrati, soprattutto a causa delle condizioni economico-sociali in cui si trovano a vivere, possiamo pure spiegarci perché possano decidersi di trasformarsi in carnefici in questo nostro mondo contemporaneo.
Non sono rare le rivolte nelle periferie di Parigi, gli incendi nei quartieri ghetto (ne avvengono di continuo). Abbiamo da tempo appurato che il disagio sociale di certe comunità di origine mediorientale, soprattutto, è molto forte; anche loro, come tanti parigini - “ non si sono educati dalle suore” dice un giornalista - condividono lo stesso disagio di molti parigini poveri ( molti disoccupati) . Essi, comunque, in questo stato di cose, si ritrovano a possedere una base culturale “di riserva”, una storia – una fede religiosa e una ideologia politica a cui attingono, come fosse una risorsa. La fonte a cui attingono, spesso, è una fonte avvelenata. Stavolta hanno attinto al mondo musulmano più estremista, quello che ha da tempo dichiarato di essere antioccidentale.
Intendendo per Occidente, tutti noi.
P:S.So che alcuni siciliani, immigrati in Europa o in America, attingono anche loro ad una “riserva” della propria cultura d’origine. Qualche volta non è la parte migliore. Succede.
Rosa La Camera