domenica 8 febbraio 2015

L' uomo con la puzza sotto il naso

Ma cu ci tagghiò sti capiddi! Arristatilu stu parrucchiere! App' a muoriri oramai. Sigismondo, quello che non vedete nel quatro, sta lì dal 1451. 'U Malatesta lo chiamavano, forse per il carrè che tiene sulla capa. Io lo guardo, certo il taglio è composto, simmetrico, mi piace assai assai; tinta fresca, nessun colpo di sole,  nè meches, mancu un pilo bianco. Sbarbato di fresco, pelle liscia, carnagione anticata, gialla ocra. App' a sbagliare la nuance del fondotinta, ma che ci fa! Si tratta di un affresco, anzi di una parte di esso. Piero ha fatto proprio un bel lavoro, lo ha dipinto tutto a mano e ora sta al Louvre.

venerdì 6 febbraio 2015

Resoconto di sabirica

Alla notizia di poter partecipare ad una giornata dedicata ai libri mi esaltai molto e decisi istantaneamente di partecipare al ''Sabir Festival'' occupandomi della catalogazione e vendita dei libri. Nei primi due giorni incontrai le organizzatrici Elisa, Anita e Caterina. Erano persone gentili e frettolose a causa dell'intera organizzazione che richiedeva un gran da farsi. Chi meglio di me poteva rispondere a questa frenesia? Forse tutti i Sabirici! Insieme alle mie compagne abbiamo iniziato a conoscere le case editrici portando qualche pacco da una parte all'altra, aprendoli, chiudendoli, lamentandoci e infine bevendo una quantità smisurata di acqua, la vera forza. ''THE SHOW MUST GO ON''. Mi aprii al mondo dei bambini, stupendomi del fatto come ancora oggi ci sia speranza per il futuro. Al fatidico giorno di apertura ho avuto la possibilità di assistere a due incontri: Messina e la sua storia e l'Italia così tristemente economica, apprezzando come la gente incominci a nutrire curiosità e interesse alla questioni che più da vicino ci riguardano, forse abbozzando l'illusione di poter migliorare questo Paese. Un'altra vicenda trovai particolare, se non strana: una casa editrice, Apertura a Strappo, a cui oggi scrivo, che avevo notato tra il passeggio della gente e le soste. Mi chiesi cosa interessasse così tanto la gente da fermare il tempo, chi sorrideva, chi rimaneva letteralmente estasiato come una sorta di brio. Decisi di avvicinarmi cosi da sentire recitar poesie in una lingua familiare ma sconosciuta, storie maledette di donne vendicatrici e del nostro meraviglioso mare. Tre cantori esaltavano ogni parola, accento e gesto, con la naturalezza medievale capace di conquistare anche l'aristocratico più diffidente. Questo incontro tra culture, durato una settimana mi ha riempito di fatica, lamenti, sacrifici, ridarelle, foto, compagnia, incontri, sguardi, sorrisi, parole, fatti, sogni e una certa magia che solo un intero libro può contenere.

Barbara Arena (Sabirica)

Gaza

Gerusalemme deve l'origine del suo nome alla radice Ur che significa altura e saalem parola che sia in arabo che in ebraico (traslato di shalem shalom) è un saluto comune alle due etnie, araba ed ebrea,  e significa pace.  In questa terra la parola pace è un vero eufemismo. Da sempre considerata sotto il controllo internazionale, Gerusalemme est è stata dichiarata capitale dello Stato di Palestina.

giovedì 5 febbraio 2015

Gli arabi in Sicilia, il castello della Zisa

L'architettura intorno al 1000 in Sicilia è un trionfo. I Normanni che incontrano i popoli mediterranei e le maestranze arabe creano un'architettura ariosa, i popoli del Mediterraneo costruiscono le dimore, le Chiese, i Castelli, i rifugi di caccia e di diletto per un popolo nordico. Immagino il loro amore a prima vista. L'amore del Nord verso il Sud da sempre in un 'attrazione magnetica è divenuto nei secoli sempre meno aperto e amichevole e tuttavia incancellabile, per la massa che dal Nord del mondo, da sempre, si sposta verso il Sud del mondo, soprattutto nei mesi caldi, densi di lusinghe irrinunciabili. Le stramaledette ferie.


Sala della Fontana in una stampa d'epoca
L'altro flusso migratorio che da sempre ha mosso masse dal Sud verso il Nord ha il senso opposto, non lusinghe vacanziere, quanto bisogno di sopravvivenza. In questo flusso costante nelle due direzioni la contaminazione produce miglioramenti, sperimentazioni: il conquistato conquista a sua volta, indica il verso e la direzione, la rotta.
Un esempio ne è la tradizione culinaria: il sorbetto degli arabi ha conquistato il mondo, come la pizza o la pasta, quest'ultima dall'estremo Oriente diviene  esclusivamente italiana.
Tornerei al sorbetto, agli arabi che, venuti in Sicilia già dopo i greci e prima dei normanni, lasciano in Sicilia grandi conquiste culturali e un'architettura stupenda.
I castelli della Zisa, della Cuba e di Maredolce ne sono un esempio a Palermo, dimore estive magnificenti per il diletto e il riposo della corte. Lascerei parlare l'iscrizione epigrafa posta sul cornicione del castello della Zisa (el Aziz ovvero il migliore, al-aziz ovvero la splendente):
"il più bel possesso del più splendido dei reami del mondo...Il paradiso terrestre che si apre agli sguardi".
Il Castello possedeva un bacino acquifero antistante che permetteva di umidificare la brezza marina che, per l'esposizione a nord-est, spirava dentro l'edificio per i tre grandi fornici posti sulla facciata e per la finestra belvedere  in cima.
La capacità di rendere al meglio e più confortevole la dimora durante i mesi estivi era frutto della sapienza degli architetti arabi. I bacini e le fonti d'acqua erano presenti anche all'interno dell'edificio, come da tradizione islamica, da realizzare la c.d. Sala della Fontana e fluivano per circa 130 metri dall'interno verso l'esterno dell'edificio. Attualmente sono stati ripristinati gli esterni così come si presentavano un tempo.
La Zisa è un unicum in tutto il Mediterraneo, dei similari palazzi nordafricani non restano che rovine. L'insieme del bacino e del giardino che lo circondavano facevano riferimento al paradiso coranico.
L' impenetrabilità dell'esterno e lo spazio fluido e avvolgente dell'interno richiamano la separazione tra sfera pubblica e privata del mondo orientale.
Le espressioni più belle degli interni sono la sala della Fontana e la sala Belvedere al piano alto.
La presenza della fonte d'acqua ricorda uno dei corsi d'acqua del paradiso coranico, tale sala prende il nome di salsabil. Un'immagine simile è dipinta in un'alveolatura del soffitto della cappella Palatina. L'acqua sgorgava al di sotto di un'aquila mosaicata, scivolava infrangendosi nei zig zag di una lastra obliqua (sardivan) e scorreva in una canaletta inframmezzata da due vaschette quadrangolari per poi confluire nella peschiera esterna. Lungo il bordo del sardivan sembrano inseguirsi pesci scolpiti. Ai lati stretti gradini mosaicati erano arricchiti da quattro pigne (ne rimangono due). Colonnine angolari definivano la sala i cui capitelli presentavano uccelli scolpiti tra le fronde e tre volticine alveolate  (muqarnas) da cui le donne dell'harem di Guglielmo sbirciavano i ricevimenti da cui erano escluse.
Nel mosaico sovrastante l'aquila, di fattura bizantina, i pavoni affrontati sono affiancati da due cacciatori che mirano ad uccelli nascosti nelle fronde degli alberi. Gli alberi, la frutta, gli uccelli scolpiti richiamano il giardino dell'esterno in un gioco di intrigante e reciproco rispecchiamento.
Gli affreschi alle pareti, che il recente restauro del 2008 ha messo in evidenza, sono seicenteschi e dunque successivi, rappresentano scene di baccanali.
Ricorderei i Diavoli della Zisa affrescati sulla volta dell'arco che introduce alla Sala della Fontana.

Clotilde Alizzi

Alfred Stieglitz


"Al principio del giugno 1907, con la mia piccola famiglia partii per l'Europa. Mia moglie aveva insistito che si viaggiasse col Kaiser Wilhelm, il piroscafo alla moda, la nostra prima tappa era Parigi. Come odiavo l'atmosfera della prima classe! Non si poteva sfuggire ai nouveaux riches.
I primi giorni me ne stetti seduto nella mia poltrona sul ponte, ad occhi chiusi, era l'unico sistema per evitare di vedere quei volti che mi davano brividi freddi, quelle loro voci e quel loro inglese, mio Dio! Al terzo giorno non ne potevo più, dovevo fuggire da quella compagnia. 
Me ne andai sul ponte il più lontano possibile. Il mare non era particolarmente agitato, il cielo chiaro, il piroscafo navigava nel vento più tosto, forte. Quando raggiunsi la fine del ponte mi fermai a guardai di sotto. C'erano uomini, donne e bambini sul ponte inferiore di terza classe.
Una scala stretta portava alla parte superiore della terza classe, sulla destra della prua vi era un altro piccolo ponticello, sulla sinistra un fumaiolo inclinato, e al ponte superiore era agganciata una passerella risplendente di vernice fresca. Era abbastanza lunga, bianca, e durante il viaggio nessuno la attraversò. Dalla ringhiera del ponte superiore di terza classe un giovane uomo con un cappello di paglia guardava di sotto. La forma del cappello era rotonda; egli osservava gli uomini, le donne e i bambini sul ponte inferiore.

Soltanto uomini si trovavano di sopra. L'intera scena mi affascinava, desiderai vivamente di scappare da ciò che mi circondava ed unirmi a questa gente. Un cappello di paglia, la ciminiera sulla sinistra, la scala a destra, la passerella con la ringhiera a catena di anelli, bianche bretelle che si incrociano sulla schiena di un uomo sul ponte inferiore, rotonde forme di macchinari in ferro, un gruppo di persone che si stagliava contro il cielo creando una forma triangolare; rimasi incantato a lungo guardando e guardando. Potevo fotografare ciò che sentivo, guardando e ancora guardando?
Vidi forme in relazione fra loro, un'immagine di forme che erano recondite in quel sentimento della vita che io sentivo. E mentre stavo riflettendo potrò tentare di catturare questa apparente nuova visione che mi ha preso, gente, gente comune, la sensazione del piroscafo e dell'oceano e del cielo e la sensazione di essere lontano dalla folla cosiddetta dei ricchi D'improvviso corsi verso la scala principale, raggiunsi la mia cabina, afferrai la Glaflex e ritornai indietro senza fiato, chiedendomi se l'uomo col cappello di paglia si era mosso o no. 
Se lo avesse fatto, l'immagine che avevo visto non sarebbe più esistita. La relazione delle forme come la volevo, sarebbe mutata, e l'immagine perduta per sempre. Ma l'uomo con il cappello di paglia c'era ancora; non si era mosso. L'altro uomo, con le bretelle incrociate, mostrava la schiena, egli pure, mentre conversava, non si era mosso e la donna seduta per terra con il bambino in grembo non si era mossa. Nessuno aveva cambiato la propria posizione. Avevo soltanto un telaio con una lastra vergine, sarei riuscito a catturare quello che vedevo, quello che sentivo? Infine schiacciai l'otturatore. Il mio cuore batteva, mai prima di allora lo avevo sentito battere così furiosamente. Avevo catturato la mia immagine? se ci fossi riuscito avrei dischiuso una nuova era in fotografia, nel vedere. In un certo senso sarebbe andata oltre, sarebbe stata un'immagine sulle relazioni delle forme e sulla più profonda sensazione umana, un passo avanti nella mia evoluzione. Quando ritornai a New York, quattro mesi più tardi, ero ansioso di fare una prova in negativo. La prima persona alla quale mostrai The steerage (ponte di terza classe) fu il mio amico Josepf  Keiley. 'Ma ci sono due immagini qui, una sopra e una sotto. Non dissi nulla, le mostrai in seguito a Haviland, Weber e Zayas, videro sul serio l'immagine e quando apparve su Camera work provocò uno scompiglio.
Una fotografia nasce quindi per caso?
La noia spinge Stieglitz a varcare gli ideali confini, forse per la prima volta ha la giusta predisposizione per abbassare lo sguardo su un'umanità intravista e mai presa in considerazione."

Stieglitz mostra una fotografa diretta senza manipolazione tecnica, l'effetto è un'apparizione mobile; è impossibile seguire il contorno delle forme, delle sagome degli emigrati e degli elementi strutturali della nave, non contano le linee ma le masse, chiare e scure; la diagonale dell'interponte rappresenta la profondità dello sguardo, la brusca riduzione delle grandezze amplifica l'effetto di prospettiva sollecitando l'occhio a riunire il tutto. La composizione è libera, irregolare, sembra essere il frammento di uno spettacolo più grande, la forma chiara si stacca con difficoltà da tutto ciò che è scuro, frammenti e ancora frammenti, un panno, uno scialle, una manica di camicia, il tutto, lo spazio, un nuovo modo di vedere la fotografia. 


Peppa Modotti

mercoledì 4 febbraio 2015

SiciliaWeekend a zonzo per la Sicilia


Natura, cultura, cibo. Se dedicassimo un weekend a scoprire ogni ricchezza siciliana sotto questi aspetti non basterebbe una vita. Eppure è proprio questo che da alcuni anni fa lo staff della testata giornalistica
SiciliaWeekend.info: vivere gli itinerari in prima persona prima di proporli ai propri lettori. Per questo leggere SiciliaWeekend può essere piacevole oltre che utile per le prossime escursioni: vi è un parlare di turismo in cui si può percepire chiaramente la passione di chi scrive. Tanto che da ieri, 4 febbraio, SiciliaWeekend è anche un'associazione culturale il cui scopo è andare a zonzo per la Sicilia, con un occhio particolare ai bambini.
"Ai lettori - afferma Dario La Rosa, direttore di SiciliaWeekend.info - oltre all'emozione di un articolo, occorre dare anche la possibilità di toccare con mano ciò di cui si parla, ovvero le meraviglie di Sicilia da vivere durante un weekend".
A titolo gratuito, ci si potrà unire in escursioni alla scoperta di antichi riti, ricette inusuali, paesaggi incredibili. Si comincia sabato 21 febbraio con l'inaugurazione: un insolito mini tour a Palermo, prima tappa lo Spasimo per visitare la mostra fotografica della Fondazione The Brass Group "Le stanze del jazz", da lì si proseguirà verso il mercato della Vucciria per una sosta caffè all'interno di una storica torrefazione artigianale e infine verso la galleria d'arte contemporanea. E poi, in un primo calendario che va da marzo a luglio, degustazioni di cannoli e miele biologico (22 marzo), trekking a Capo Zafferano (19 aprile), raccolta dei capperi a Favignana (10 maggio), visite sui Nebrodi (24 giugno), picnic a Ficuzza (12 luglio). E i bambini? Coloreranno sassi a Sant'Elia (7 giugno), si occuperanno di un orto in vaso (12 aprile), costruiranno aquiloni (17 maggio). Queste sono solo alcune delle attività proposte, in una Sicilia che tenta di (ri)scoprirsi attraverso l'appassionato lavoro delle associazioni.
Valeria Balistreri
Per prenotazioni e informazioni potete chiamare o inviare un sms/Whatsapp al 3283136852 o scrivere all'indirizzo mail associazionesiciliaweekend@gmail.com

martedì 3 febbraio 2015

Succede in Nigeria - cose di petrolio

Sono un’occidentale evoluta, vivo in un paese democratico.
Ho casa, famiglia e lavoro.
Vado a votare, ascolto la musica e vesto come mi va.
Il problema più grosso che ho potuto creare nel mio mondo (tutto solidarietà e giustizia) è stata la questione della parabola sul tetto. Una questione condominiale risolta presto, prestissimo, tanti anni fa.
Non è morto nessuno.
Scrivo che è quasi l’ora di cena.
Non so che ore siano in Nigeria.
Quello che so è che per molti, in Nigeria, non ci sarà nessuna cena.
Tutta la regione del Delta del Niger era una terra fertile, prima. L’agricoltura riusciva a soddisfare l’intero fabbisogno, poi il petrolio.
Il territorio piomba nel degrado.
È per questo che per tanti nigeriani non ci sarà nessuna cena.
Non ci sarà per quelle che hanno ammazzato nel 2002, non ci sarà per loro né per quel che resta delle loro famiglie.
Erano donne, solo donne, tutte donne.
Erano stanche di vedere morire i loro mariti, morivano (e muoiono) lavorando ai pozzi.
Era necessario dirlo?
Lo hanno detto con una protesta pacifica.
Le hanno ammazzate.
Era accaduto lo stesso, nel dicembre del ’98, ai ragazzi che avevano avuto il coraggio di firmare “La dichiarazione di Kaiama”.
Chiamando a raccolta tutti i popoli del Delta chiedevano la chiusura degli impianti petroliferi.
Reclamavano la bonifica dei territori, il diritto a vivere sani: dagli elicotteri della Chevron, su di loro, sono piombate le milizie locali. Come in guerra hanno sparato, come in guerra hanno ucciso.
Non una, non dieci, non cento volte.
Non si contano più i tentativi di rivolta della popolazione, solo che sono sempre i soldati quelli che vincono.
I soldati assoldati arrivano a bordo dei motoscafi della Shell o (come già detto) con gli elicotteri della Chevron, perché l’oro nero non si tocca.
Le compagnie devono difendersi, dicono, dalle proteste (sempre pacifiche).
Anche l’Italia lo sa (lo fa). L’Eni ha pagato la sua tangente e ha vinto il suo appalto per lo sfruttamento.
E così (un po’come assoldando un metronotte dalle brutte maniere), le tangenti diventano lo stipendio delle milizie. Sono milizie violente, feroci, quando non uccidono puniscono tranciando gli arti, stuprando le ragazzine.
Conflitti o delitti?


L’oro nero non si tocca! (Appartiene all’Occidente, solo all’Occidente.)
È oro per le compagnie, è solo nero per i nigeriani.
Anche i francesi lo sanno, ancor prima degli americani, desiderosi di sfruttare quei pozzi, nel ‘67 favorirono la secessione armata del Biafra: Un milione di morti in tre anni.
Niente Allah, niente musulmani.
I francesi lo sanno, perché nessuno dimentica.
È colpa dei nigeriani, che c’entriamo noi con quello che fa il loro regime? Sotto dittatura si sta male.
Noi occidentali lo sappiamo e l’abbiamo debellata.
Finalmente, nel ’99 la Nigeria, così martoriata, con Olusegun Obasanjo, raggiunge l’agognata democrazia: 2.000 morti in un solo giorno, la città di Odi rasa al suolo.
Niente Allah. Niente musulmani.
Gli impianti petroliferi restano sempre il problema maggiore, irrisolvibile.
Allora, per distogliere l’attenzione dai pozzi, si mandano in giro i fomentatori. Lo scopo è quello di creare ed accrescere tensioni locali: 3.000 morti a Kano (dovrei controllare l’anno, ma non credo abbia molta importanza).
Sono scontri tra cristiani e musulmani (dicono). Guerra tra poveri e disperati a cui un certo Dio (lo stesso) pare abbia insegnato cose diverse.
Qui c’entra Allah, c’entrano i cristiani, ma soprattutto c’entrano le compagnie petrolifere.
L’oro nero ha devastato la Nigeria e per questo in Nigeria si muore. 
I militari (al soldo delle compagnie petrolifere) mietono vittime, le esplosioni degli oleodotti in pessime condizioni mietono vittime, perfino i tentativi di furto del greggio (destinato al contrabbando) mietono vittime. Le proteste dei giovani, quelle delle donne, quelle pacifiche e quelle che vorrebbero chiamarsi Vera Rivolta, mietono vittime. Perfino l’acqua e la terra, inquinate dagli impianti, mietono vittime.
L’Occidente lo sa e a volte s’indigna, mentre a volte dimentica. Così com’è accaduto con gli ultimi morti (2.000), passati quasi inosservati per colpa del dolore di Parigi.
Si sa, il dolore che ferisce le proprie carni non hai mai confronti. Ma i morti siano cari a tutti.
Nessuno dimentichi nessuno.

La Chevron-Texaco, la Shell, la Total-Fina, l’Agip (per citare solo quelli che tutti conosciamo) hanno i loro impianti estrattivi nella regione del Delta del fiume Niger.
Dal 1994 ad oggi, solo in quella regione, 15.000 morti “circa” (perché i dati non riescono mai ad essere aggiornati).


Ai Nigeriani sono stati sottratti i loro territori, così come sono stati sottratti agli indiani d’America, così come con un “tratto di penna” li ha sottratti la Russia ai Ciukci, in Siberia.
I Ciukci, un popolo la cui aspettativa di vita, oggi, grazie al selvaggio sfruttamento dei loro giacimenti, carbone, gasdotti e, neanche a dirlo, ancora petrolio (per i quali sono stati distrutti ettari ed ettari di foreste e pascoli per le renne, antica economia), non supera la soglia dei quarant'anni. Muoiono per le nuove abitudini, uniche risorse rimaste, prostituzione e alcol.
Anche lì conflitti e delitti.

Rimane da chiedersi:Il martirio subito da tanti popoli in nome dell’economia (e non di Allah) in nome della civilizzazione (e non dell’ebraismo) rientra nelle definizioni di Olocausto e Crimini contro l’umanità?
Forse no, giacché nessun tribunale ha mai preso in carico alcuna di queste questioni.


Adelaide J Pellitteri

Fonti: Sito PeaceReporter
          Sito Dossier  Russia/Siberia

blog: Il lavoro debilita.

lunedì 2 febbraio 2015

Letti per tutti: Strappare lungo il tratteggio


Sandro Camilleri, 
STRAPPARE LUNGO IL TRATTEGGIO
pagine 231, brossura con fustella, 
Stordito editore, 2015.





L’ultima fatica di Sandro Camilleri (Sandro, non so se l’ho già detto, è il cugino di Andrea, n.d.a.), una storia che avvince e cattura il lettore sin dal frontespizio.

L’ispettore Montalcino avanza in una palude con i pantaloni arrotolati al ginocchio e le scarpe in mano. Camilleri (Sandro, non Andrea) gli concede due pagine intere di bestemmie più una per tirare via il piede da una buca di fango che è meglio non leggere.

Nella penombra vaporosa di miasmi della foresta di mangrovie si nasconde uno dei più efferati trafficanti di borse cinesi - il trafficante è italiano.

Montalcino lo segue da due giorni senza riuscire a raggiungerlo, forse, viene da pensare, anche a causa del vantaggio che gli ha concesso l’autore (si tratta sempre di Sandro, il cugino, n.d.a.). Lo ha lasciato fuggire a pagina tre, poi ha allertato l’ispettore solo a pagina venticinque, si può capire quindi tutto l’astio e l’incazzatura di Montalcino che arranca, s’infanga, affonda, smadonna.

Non c’è niente da fare, si tratta di una distanza incolmabile, Montalcino si rende conto che è impossibile recuperare solo con i mezzi propri, è snervante dipendere dalla leccata di dita di un lettore sull’orlo della pennichella.

Cover a tua sorella! - Patrizia Schiera unplugged


Venerdì 30 gennaio '15, in un pub di zona Garraffello, in una Palermo che niente ha da invidiare alle metropoli fumose.
Nel buio, in una maglia sfacciatamente dorata che solo una cantante black avrebbe il coraggio di indossarne una uguale, lei, che una cantante black oltre a chiederle la maglia - in un giorno di abbassamento di voce - potrebbe pregarla di curarne il doppiaggio, inanella pezzi su pezzi, in una scaletta che non ha nulla di programmato, che lei e il chitarrista-vittima, Riccardo Coraro, decidono sul momento, e mentre lei scherza con il pubblico sparando cazzate, tipo "e adesso che pezzo prendiamo?", lui parte con "Prendila così", di Battisti, e lei lo bacchetta e poi canta, adoperando la sua voce senza sforzo, senza enfasi, senza allungare le note come invece fanno le sciacquette da festa rionale e le cantanti italiane che imitano Mina, sorridendo mentre canta - niente facce brutte mentre lei canta -, e il repertorio scivola, il suo repertorio, perché le canzoni proposte non sembrano essere state mai cantate da nessun altro, Consoli Nora Jones Battisti Bertè Daniele tutti coveristi di una Patrizia Schiera che diventa matrice di tante interpretazioni derivate. Tre ore di musica, e la gente che batte le mani, che canta appresso a lei, che si diverte.
E poco importa che - mentre lei si esibisce -, sul video scorrano le immagini di Annie Lennox o Diana Ross o lo spot di un taglia ortaggi che sezionerebbe le patate in dodici modi diversi. Noi ascoltiamo Patrizia Schiera, che non fa rimpiangere nemmeno Rosa Balistreri quando canta Mi votu e mi rivotu.

Giorgio D'Amato












domenica 1 febbraio 2015

Oltre l'arte

Ma quale oltre l’arte, oltre il caos direi!

Ore quattro e trenta pomeridiane, la mia amica ed io ci rechiamo presso il quarto piano della Mondadori di Palermo per partecipare all’evento “Oltre l’Arte”, concorso che vede impegnati artisti e loro rispettive opere di pittura, di scultura,  di poesia.

A gestire il tutto una folle in calzoncini corti, calze a rete, cappellino e una dizione e un lessico da paura, nel senso che metteva proprio paura il suo parlare per assenza di dizione e pochezza e povertà di vocabolario (mi pare che un “bellissimo” accompagnasse le cinque opere tra pittura e scultura selezionate).
Io mi chiedo chi può mai affidare un evento così importante a una cotanto debosciata?!
Debosciata nei modi, oserei dire rudi e grezzi, e nella poca dimestichezza nel trattare educatamente le persone che così tanto si sono esposte con i loro lavori.
Sconcertata anche dal presidente di sì apprezzabile evento che invitò, in maniera grossolana e spicciola, gli artisti a concludere poiché alle diciannove avrebbe avuto un altro impegno, infatti consegnò velocemente agli stessi un foglio con una specie di interpretazione e giudizio della loro opera, scritti da lui ma che lesse un altro elemento dello staff (forse la sola persona positiva all’ interno del gruppo degli organizzatori). 
Unico momento di silenzio, su richiesta della stessa, quando lesse la sua poesia la mia amica Adele Musso, ma dopo di nuovo il caos e una sfilza di “bellissimo”, ormai eco della folle debosciata, come solitario attributo anche per tutte le poesie in concorso.
Un ultima cosa: la Mondadori controlla coloro ai quali affida i propri ambienti?

Cose da turco

La cosa più bella della serata alla Mondadori è stato forse il momento in cui io e la mia amica Lucia siamo andate al bagno, pulito, accogliente, calmo, lontano da quel tourbillon più simile ad un minestrone andato a male che a un evento d'arte. Lirica, pittura, donne strizzate in abiti pseudo gattopardeschi che se facevano un passo malamente finivano tra le braccia di Onasiss con una esse in meno, la voce della Callas, un tizio che scambiò un'opera d'arte per un attaccapanni, e un pubblico che a causa del fortissimo riscaldamento pareva avvinazzato tanto le facce erano paonazze. Rispetto per chi si è messo in gioco, perchè gli artisti sono persone serie, chi crede di poterle manovrare è davvero poco serio, specie se le liquida con un: presto, presto dobbiamo accelerare! Ma cosa? Alla fine all'uscita ci siamo accorte che pioveva, cosa ci è rimasto di quel pomeriggio? Un ombrellino di tre euro colore arancio, il colore della armonia interiore, vendutoci da un simpaticissimo ragazzo indiano che parlava in palermitano stretto, il piacere di stare con una amica e la certezza che fare cultura è altro.

Lucia Immordino e Adele Musso