lunedì 23 febbraio 2015

Gerlando Alberti 'u paccarè

Gerlando Alberti fu uno dei maggiori esponenti di quelle mafia che cambiò modus operandi, iniziando ad occuparsi del traffico di eroina.  Nato a Palermo in una famiglia di sei figli il 18 Settembre 1927, Alberti riesce subito a farsi notare nel quartiere dove nacque, cioè Danisinni. A soli diciassette anni vantava già una denuncia per il furto di un caciocavallo ai danni di un commerciante che verrà poi pesantemente percosso da Alberti stesso per aver sporto denuncia. Il suo carattere violento e prepotente, nonché la vicinanza a certi ambienti poco raccomandabili, gli consentirono di entrare nelle grazie di cosa nostra, guidato da Gaetano Filippone, conosciuto anche come “u’ zù Tanu”, boss di Porta Nuova.

Da qui in poi l’attività criminosa di Alberti continua a crescere. Intorno agli anni 60 si guadagna 4 condanne di detenzione e 2 denuncie per ricettazione e furto aggravato. Poi, nel 63, viene denunziato insieme a gente del calibro di Tommaso Buscetta o Pietro Torretta. E’ ritenuto essere uno degli uomini più pericolosi di cosa nostra, mandante e autore di numerosi omicidi, specialmente per commissione del capo mandamento di Porta Nuova, Calò Giuseppe. Era fortemente sospettato di aver partecipato alla Strage di Ciaculli, avvenuta nel ’63 dove perdono la vita sette agenti dei Carabinieri, alla strage di Villabate-Fondo Serena e all’omicidio di Angelo La Barbera, premeditato e organizzato nei particolari da lui e Tommaso Buscetta. Per Alberti scatta l’obbligo di permanenza in Lombardia, a Milano. Sotto la copertura di un’azienda tessile però, Alberti iniziò gestendo il traffico di sigarette nella zona, fino ad arrivare a creare delle cosche a Genova e Milano, sfruttando i soldi riciclati tramite il traffico di stupefacenti a livello internazionale.
Dopo essere stato arrestato dal colonnello Carlo Alberto Dalla Chiesa, viene scarcerato nel 1971, gettandosi immediatamente alla latitanza. Poi un nuovo arresto nell’80,avvenuto in un albergo nei pressi di Carini, dove alcuni poliziotti erano infiltrati come fattorini da tre giorni, mentre Alberti e altri tre Marsigliesi erano occupati in affari di droga.  Poco dopo, mentre si trova in carcere, viene ucciso il titolare dell’albergo, Carmelo Iannì, colpevole di aver appoggiato le forze di polizia durante il blitz anti droga.
Nell’83 riceve un mandato di cattura, anche se già si trova in carcere,per il “Blitz di San Valentino”, condotto dalla polizia dopo aver  tenuto sotto controllo Vittorio Mangano, presunto stalliere della villa di Berlusconi, ad Arcore.
Sempre nell’83 Alberti viene condannato per l’omicidio di Iannì in qualità di mandante. La condanna gli costa 24 anni di reclusioni, nei quali uomini di cosa nostra attentano alla sua vita più volte,fallendo,  come testimonia il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, data la sua vicinanza a Badalamenti,nemico dei Corleonesi.
Poi i domiciliari per gravi problemi di salute e il primo Febbraio 2012 la morte, nella sua casa a Palermo, nel quartiere Pagliarelli.


Per i Corleonesi Alberti non è altro che un problema da eliminare durante la sua reclusione al carcere dell’Ucciardone. Tuttavia i quattro attentatori non riescono nell’intento di ucciderlo con una iniezione letale,sventata in tempo da Alberti stesso. Alle guardie che lo ritrovano coperto di lividi Alberti racconta di essere caduto dalle scale,quando invece era stato pestato. Anche se ormai vecchio e malato Alberti mantiene la sua posizione di spicco in cosa nostra, rimanendo temuto e rispettato da i boss mafiosi di qualunque epoca. 
Simbolo del tipico mafioso della sua epoca, Alberti è uno dei pionieri della mafia trafficante di droga e di merci di contrabbando. Vive una vita nella delinquenza sin dalla giovane età, con un anello d’oro alla mano, classico rolex sopra la camicia e parrucchino per coprire la calvizie. Alberti non si fa nemmeno mancare le donne. Al processo sulla strage di Ciaculli ha l’alibi perfetto: “Ero con una donna, una signora sposata, quindi non posso dirvi chi è per una questione d’onore” . Poi, durante uno dei tanti arresti nella sua carriera criminosa, viene trovato in felice compagnia di una quindicenne.


Antonio Mineo